KOTOKO [SubITA]

Titolo originale: Kotoko
Nazionalità: Giappone
Anno: 2011
Genere: Drammatico, Horror
Durata: 91 min.
Regia:

Kotoko è una giovane madre che soffre di un disturbo insolito che le provoca disagio e un forte esaurimento nervoso: vede le persone divise in due, una negativa e una positiva. Gli unici momenti in cui la sua mente provata trova pace è quando canta: grazie al suono della sua voce il mondo torna a essere unico e con una sola prospettiva. Con il passare del tempo, il suo comportamento sempre più anomalo la porta ad essere accusata di abusi sul piccolo figlio che le viene per questo motivo tolto. Quando riesce a riottenerne la custodia, le visioni cominciano ad essere così intense da far prendere a tutto una piega inaspettata.

“Anche la follia merita i suoi applausi”
Alda Merini

La danza del proiettile: Tsukamoto Shinya

Tsukamoto Shinya (塚本 晋也) nasce a Tokyo, il 1 gennaio del 1960. La sua passione per il cinema inizia ad appena 14 anni, quando il padre gli regala una telecamera Super-8mm. In seguito si diploma in arte alla Nihon Daigaku (日本大学), ma è già dal 1987 che incomincia a realizzare con alcuni amici, riuniti nel gruppo noto come Kaiju Theater (怪獣シアター), i suoi primi cortometraggi, dove già vengono in elementi quali il rapporto tra la carne ed il metallo, il montaggio subliminale e la città come e allo stesso tempo terreno di guerriglia.
La fama giunge nel 1989, quando Tsukamoto scrive, dirige e produce, senza tralasciare di occuparsi anche della fotografia e del montaggio, il geniale mediometraggio Tetsuo (鉄男), il suo primo lavoro in 16mm. Nella storia di un semplice impiegato che si trasforma improvvisamente in un uomo di ferro, Tsukamoto lascia trasparire tutte le angosce di una società ormai in balia della tecnologia e del rapporto, nel bene e nel male, dell’uomo con essa.
Segue un mediocre film horror, nel 1991, Hiruko Hanta (ヒルコ 妖怪ハンター), girato in 35mm e primo lungometraggio del regista, e l’anno successivo il sequel del suo primo capolavoro: Tetsuo II: Body Hammer (鉄男). Oramai ascritto a pieno diritto nella corrente dei padri del cyberpunk [1] giapponese e internazionale, insieme all’animatore Oshii Mamoru (押井守) ed al mangaka Otomo Katsuhiro (大友 克洋), Tsukamoto mantiene fede a questa vocazione, ma in breve la sua cinematografia incomincia a seguire sentieri diversi, discostandosi dalla matrice underground dei primi lavori.
La vita, la morte e la danza, o forse la vita che prende a braccetto la morte, e la conduce in un ballo senza fine, fanno il loro ingresso nella poetica del regista giapponese, prima nel 1995, in Tokyo Fist, poi nel bellissimo Bullet Ballet (バレット・バレエ), del 1998, girato di nuovo in 16mm, dove un impiegato (la classe media e l’uomo medio sono i protagonisti assoluti dell’universo di Tsukamoto) intraprende un percorso che sfocerà nella violenza e nell’autodistruzione allorché scoprirà che la sua ragazza si e tolta la vita con un colpo di pistola. In un viaggio a ritroso nel sé e nell’altro, il protagonista, Goda, non riuscirà a sfuggire al dolore e finirà solo per provarne e causarne dell’altro.
È già in questi lavori che Tsukamoto non si limita a produrre e realizzare i film, ma arriva anche ad interpretare in essi un ruolo che talvolta è quello del protagonista, altre volte quello di un comprimario. Le doti attorie di Tsukamoto Shinya sono notevoli, i premi internazionali per la sua attività registica non si fanno attendere, sebbene per il momento limitati a festival più di “settore”, ed in breve il regista, anche per ottenere fondi per i suoi prossimi film (va ricordato che Tsukamoto auto-produce i propri lavori da sempre), si ricicla come attore per registi come Miike Takashi (三池崇史), nello splendido Koroshiya Ichi (殺し屋1), Shimizu Takashi (清水 崇), ma anche per indipendenti come nel bellissimo Oboreru hito (溺れる人), di Ichio Naoki (一尾直樹).
Nel 1999 è il tema del doppio, già esplorato nei due film dedicati a Tetsuo, a predominare in Soseji (双生児-GEMINI-), uno dei suoi film più affascinanti e che prelude al capolavoro, l’immenso Rokugatsu no hebi (六月の蛇, A Snake of June), nel 2002.

Vincitore del Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, Rogugatsu no hebi racconta di una donna, Rinko, interpretata dalla bellissima e bravissima Kurosawa Asuka (黒沢あすか) [2], profondamente repressa, e il cui sta affrontando una grave crisi, e che però nasconde una feroce sensualità. Quando il fotografo Higuchi (lo stesso Tsukamoto) la vede, scopre la sua ambivalenza e decide a suo modo di salvarla, lasciando fuoriuscire e predominare questo aspetto del suo carattere. Ne deriverà un gioco erotico e perverso, in cui attraverso il ricatto Higuchi permetterà a Rinko di recuperare la propria sensualità, la propria femminilità, ma anche di salvare il proprio matrimonio e di sconfiggere una drammatica malattia. Girato sotto un’incessante pioggia [3], in una bellissima sfumatura in blu di Prussia, Rogukatsu no hebi è un film struggente, erotico e poetico come pochi altri, è un film estremo dove Tsukamoto si mostra più spregiudicato del solito, affrontando un tema, come quello dell’erotismo, finora non assente di certo dalla sua opera, soprattutto nel primo Tetsuo, ma che non era mai stato trattato così esplicitamente nella sua cinematografia. Elegante e dotato di un fascino magnetico, grazie anche alla bravura dei principali interpreti, il film consacra Tsukamoto Shinya come autore di culto anche al di fuori del Giappone.
Amore, vita e morte, sempre danzando, accompagnano anche il seguente film del regista, un altro dei più riusciti, il magnifico Vital (ヴィタール), del 2004. Hiroshi, interpretato dalla superstar Asano Tadanobu (浅野 忠信) [4], ha perso la memoria in seguito ad un incidente, in cui è morta anche la sua fidanzata, Ryoko, ma passato oramai del tempo decide di tornare all’Università di medicina e frequenta un corso di anatomia, dove si pratica la dissezione di cadaveri. È qui che, con sua grande sorpresa, scopre giacere tra i corpi donati dalle famiglie alla scienza anche quello di Ryoko, ed allora inizierà per Hiroshi, aiutato da una compagna di classe, Ikumi, innamorata di lui, un percorso a ritroso nel tempo, attraverso il corpo dell’amata e attraverso i propri ricordi, allo scopo di scoprire chi era la persona che amava. Girato per buona parte ad Okinawa, il film nasce dalla partecipazione del regista ad una sessione di anatomia artistica, dove Tsukamoto resta affascinato dall’eccellente lavoro compiuto da alcuni allievi nel riprodurre i dettagli anatomici (abitudine questa che anche Hiroshi mostrerà nel film), ma in realtà una forte influenza nella realizzazione di Vital e soprattutto nella caratterizzazione di Ryoko, interpretata dalla bella omonima del regista, Tsukamoto Nami (柄本奈美), ebbe l’amicizia, nata da poco, tra il regista e la showgirl Cocco (コッコ) [5], su cui Tsukamoto modellerà la figura di Ryoko (ed in effetti anche fisicamente la somiglianza tra le due è notevole), e che regalerà al regista la canzone Blue Bird, presente nei titoli di chiusura di Vital.
Seguirà, per Tsukamoto Shinya, un periodo fatto di luci ed ombre, e di una maggiore attenzione verso gli aspetti più commerciali del cinema, che lo porteranno a realizzare opere per lo più di matrice horror, come i due film della serie Akumu tantei(悪夢探偵 e 悪夢探偵 II), ed un terzo sequel per Tetsuo.
C’è chi parla già di uno Tsukamoto che ha ormai esaurito le idee, di un regista in crisi, ma ecco che nel 2011, al Festival di Venezia, nella sezione Orizzonti, Tsukamoto vince il primo premio presentando un film bellissimo: Kotoko.

Kotoko

Scritto da Tsukamoto, Kotoko è in realtà un film a quattro mani, in quanto è imprescindibile nella sua genesi il ruolo svolto dalla cantautrice Cocco, già musa del regista e evidente ispiratrice, oltre che interprete, per la protagonista del film.
Il film nasce da un lutto che ha colpito il regista recentemente, cioè la dipartita della madre, a cui Tsukamoto era molto legato. Per tale ragione il regista incomincia a maturare l’idea di un plot che avesse come protagonista proprio una madre ed il suo rapporto con il figlio. Nel frattempo il Giappone è costretto ad affrontare la tragedia del del Tohoku dell’11 marzo del 2011, e il conseguente incidente accorso alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, che riportando alla memoria il dramma dell’olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki durante la Seconda guerra mondiale, scatena nella popolazione nipponica anche il timore delle conseguenze che la guerra in generale può comportare. Tsukamoto si è sempre dichiarato molto sensibile al tema della guerra, e ha più volte ribadito che essa rappresenta una delle sue maggiori paure, in tutte le sue sfaccettature, incominciando dal timore di dover crescere i propri figli in tali condizioni, come ben esplicano gli incubi/allucinazioni di cui soffre Kotoko nel film.
La storia narra della giovane Kotoko, da anni sofferente di un disturbo allucinatorio che la porta a vedere le persone in una duplice veste, la parte reale e quella malvagia, inevitabilmente aggressiva nei suoi confronti e decisa a farle del male (di nuovo il tema del doppio, sebbene Tsukamoto abbia dichiarato che l’idea di una tale psicosi venga da Cocco). Le cose non vanno meglio quando la giovane resta incinta, il padre del bambino sparisce e lei si trova costretta ad accudire il piccolo. All’inizio le cose sembrano andare bene, tant’è che il bimbo è l’unico che lei non vede doppio, ma ben presto Kotoko dovrà fare i conti con la propria inadeguatezza, i propri dubbi ed incertezze, che porteranno i servizi sociali ad intervenire strappandole il bambino, che verrà affidato a sua sorella. Da solo, disperata, Kotoko non potrà fare a meno che intraprendere un percorso che ben presto la porterà a diventare prigioniera del proprio inferno personale.

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Mirabilmente interpretato da Cocco, che si cala perfettamente in una parte che, in quanto profondamente autobiografica, risulta essere ancora più difficile, dal momento che la costringe ad affrontare le proprie debolezze ed i propri fallimenti, il personaggio di Kotoko è uno dei più belli tra quelli tratteggiati da Tsukamoto nella sua carriera. Di fronte alla sua solitudine Kotoko si ferisce con un bisturi per “sentirsi viva”, come la stessa Cocco qualche anno prima, cerca di combattere le sue allucinazioni, di trovare una qualche stabilità per poter riavere con sé il proprio bambino, ma non ci riesce. Lontano dalla famiglia, che vive ad Okinawa, Kotoko viaggia più volte per rivedere sua sorella e suo figlio, ed in quei momenti sembra quasi ritrovare la serenità, mentre Tsukamoto sembra così quasi voler smorzare la tensione claustrofobica che il film riesce a scatenare nello spettatore, ma sono solo attimi.
A nulla servirà neanche l’incontro con lo scrittore Tanaka, interpretato da uno Tsukamoto probabilmente nella sua più commovente interpretazione, che si innamorerà di lei e cercherà di offrirle una nuova vita, sempre che si tratti davvero di un incontro, sempre che anche questa non sia un’allucinazione…
A parte Tsukamoto e Cocco, che in realtà finora non aveva recitato moltissimo, il cast è composto quasi completamente da attori alle prime armi o esordienti, molti vicini alla stessa Cocco, come la sorella di Kotoko, interpretata dalla vera sorella di Cocco. Anche il suo produttore ed altri membri della sua band avranno un ruolo nel film, e ciò anche per mettere a suo agio una personalità comunque fragile ed ansiosa come quella di Cocco. La scelta non ha alcuna conseguenza sul risultato del film, in quanto Kotoko è un film incentrato totalmente sulla protagonista, che ci regala una delle più belle interpretazioni femminili dell’anno. Kotoko è un film che ti entra dentro e fatica ad uscirne, è un film che colpisce come un pugno in viso, crudo e caldo come il sangue che sgorga dalle braccia della stessa Kotoko. Girato interamente con una videocamera digitale, caratterizzato dalla splendida fotografia di Tsukamoto, è un film vicino e lontano ai temi cari al regista. Vi è sempre presente quella profonda analisi psicologica che caratterizza l’opera di Tsukamoto, ma mancano quelle atmosfere cyberpunk degli inizi. Stavolta Tsukamoto non indaga il rapporto dell’uomo con la tecnologia, ma quello con sé stesso e con l’ambiente che lo circonda. Indaga la solitudine di una madre sempre più sola. Kotoko diviene così la summa dell’opera del regista quale ricerca dell’armonia tra corpo e mente, e questo viene ben sottolineato dalla tecnica registica, caratterizzata dall’uso insistente della telecamera a braccio, di primi piani ravvicinati e da un montaggio serrato, soprattutto nel passaggio improvviso dal piano onirico/allucinatorio a quello reale.

Torna di nuovo quel dolce abbraccio tra vita e morte, sorpresi di nuovo a volteggiare in una danza catartica che stavolta si accompagna al canto. Il blu di Rokugatsu no hebi qui diviene rosso, mentre Kotoko dedica una canzone a Tanaka in una delle più belle scene del film… Diventa bianco e quando Kotoko torna ad Okinawa e saluta il figlio nascondendosi da dietro degli alberi, lasciando sporgere solo la mano e si sfuma nel grigio nello struggente finale intriso di lacrime e pioggia e speranza, quando Kotoko, ricoverata in un di cura per malattie mentali rivede il figlio, oramai cresciuto [6]. Lui le parla, le racconta della scuola, delle sue attività di club, ma lei non reagisce, non parla, allora lui le regala un origami e se ne va, e lei si alza e lo vede dalla finestra che se ne va e lui si accorge di lei, si nasconde dietro un albero e poi riappare e le fa un cenno di saluto… e Kotoko ricambia il saluto.
Bellissimo. See ya soon!

Note

[1] È difficile dare una definizione di cyberpunk, una sorta di corrente culturale, o forse più propriamente uno stile, che ha abbracciato la letteratura, il cinema, l’animazione e l’arte a partire più o meno dagli anni ’80 all’inizio del nuovo secolo. Tendenzialmente il cyberpunk esplora il rapporto dell’uomo con l’ tecnologica e trova i primi esempi già nelle opere di Ballard, Gibson e Sterling, per poi approdare al fumetto nipponico, con i lavori di Shirow Masamune e Otomo Katsuhiro, e da lì proprio partendo dalle opere di questi ultimi due autori, anche nell’animazione, grazie allo stesso Otomo e ad Oshii. Un buon approfondimento sul genere si ha nell’interessante testo che due giovani autori hanno dedicato a Tsukamoto: CHIMENTO A./PARACHINI P., Shynia Tsukamoto, dal cyberpunk al mistero dell’anima, Alessandria, 2009, p. 15 ss.
[2] Recentemente vista nell’altro film giapponese che ha affascinato la Mostra veneziana del 2011, insieme a Kotoko, e cioè Himizu (ヒミズ), di Sono Shion (ヒミズ).
[3] Il “serpente di giugno” che dà il titolo al film, in effetti indica in Giappone quel periodo per lo più coincidente con il mese di giugno, caratterizzato dalla persistente presenza di pioggie monsoniche.
[4] Asano e Tsukamoto si erano conosciuti sul set di Koroshiya Ichi.
[5] Nata Makishi Satoko (真喜志 智子), il 19 gennaio 1977, a Naha, nell’arcipelago di Okinawa, ben presto diventa nota ai fan col nome di Cocko, prima, e quello di Cocco, oggi. Figura alquanto complessa, in seguito al divorzio dei propri genitori manifesta forti nevrosi, seguite da comportamenti autolesionistici. Li combatte tramite la danza, che cerca di intraprendere anche a livello professionale, Non supera, però, nessuno dei provini cui partecipa, ma impressiona una giuria per la sua voce e la sua espressività, aprendo così le porte del successo alla sua carriera di cantautrice. Debutta nel 1996, ma dopo tre dischi di successo annuncia il suo ritiro dalle scene, nel 2001, ma è solo per modo di dire, perché già dall’anno successivo torna a cantare in varie iniziative. Nel 2004 conosce il regista Tsukamoto Shinya, con cui avvia una profonda amicizia ed un sodalizio professionale che porterà prima al video/tributo Cocco ka no o sanpo (Cocco 歌のお散歩。), sempre per la regia di Tsukamoto, e poi, nel 2011 alla realizzazione di Kotoko, dove Cocco interpreta il ruolo della protagonista, autrice della colonna sonora e partecipe anche col regista alla direzione artistica dell’opera. La protagonista del film, Kotoko, infatti, soffre in parte degli stessi disturbi di cui Cocco ha iniziato a soffrire nell’adolescenza, e che non l’hanno mai del tutto abbandonata, e in cui aveva avuto una drammatica ricaduta poco tempo prima, lasciando sconvolta la platea nipponica quando comparve sulla copertina della rivista Papyrus, nell’ottobre del 2009, visibilmente sofferente di anoressia e con la presenza di numerose lesioni auto-inferte sulle braccia, confermando così la sua tendenza a procurarsi del male, per sentirsi viva, si giustificherà, come poi farà Kotoko.
[6] Il giovane è interpretato del figlio adolescente di Cocco.

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Recensione: www.asianworld.it

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By Anam

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