FINAL CUT: LADIES AND GENTLEMEN [SubITA]

Titolo originale: Final Cut: Hölgyeim és uraim
Nazionalità: Ungheria
Anno: 2012
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale
Durata: 84 min.
Regia: György Pálfi

Come fare a portare sullo schermo la storia d’amore definitiva, capace di far battere all’impazzata il cuore degli innamorati che la stanno vivendo così come quello del pubblico in sala? La soluzione c’è: prendere tutte le love story più belle, più famose, più amate, più citate della storia del cinema e fonderle in una sola, partendo da un semplice gioco di sguardi tra due sconosciuti. Perché è proprio da uno sguardo, uno sguardo a senso unico, catturato dalle immagini create da un fascio di luce, che nasce il nostro amore per il cinema. (dal catalogo del TFF)

Mash up, collage di film d’amore e affini a brandelli, materiale riciclato dall’archivio Storia del Cinema, 450 pellicole e file in un manifesto d’ecologia cinematografica. Dai Lumière ad Avatar, dal b/n al colore, dal al sonoro: centinaia di attimi sottratti a opere classiche concorrono a creare una storia d’amore, secondo lo schema boy meets girl. Centinaia di volti a incarnare un lui in abiti sempre differenti, centinaia di donne ad animare una lei. Gesti cominciati da uno, terminati dall’altro. Da altri. sillabate da in tempi diversi, frasi uniche, dette a molteplici voci. Pálfi, già regista di Hukkle e Taxidermia, omaggia la Settima Arte in un saggio virtuosistico di montaggio. Che è, soprattutto, un artefatto di tracotante e geniale capacità affabulatoria e la prova, mai così estrema, della virtualità del cinema, del suo finire e concludersi solo nello spettatore. Un paradosso, per un’opera che è anche narcisa, feticista, legata all’archeologia delle immagini: è nella mente di chi osserva che quei corpi così diversi, da Charlie Chaplin a E.T., da Celia Johnson a Rebecca Romijn Stamos, assumono nel loro associarsi una nuova identità, la forma di una coerente immagine mentale, partorendo una storia d’amore che non può che situarsi decisamente oltre il visibile. E che – coscientemente – mette in gioco anche la dimensione del possibile, tornando sui suoi passi e ricominciando come di ritorno da un bivio di Kieslowski, come ricordandosi di una strada perduta in un film di Resnais. Ad anni luce dall’essere un semplice divertissement: è una sfida radicale, una dimostrazione di forza, un atto d’amore. Prodotto, tra gli altri, da Béla Tarr.

Recensione: spietati.it

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By Anam

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