COLD SKIN [SubITA]

Titolo originale: Cold Skin
Nazionalità: Francia, Spagna
Anno: 2017
Genere: Avventura, Fantascienza, Horror
Durata; 108 min.
Regia: Xavier Gens

Presentato al Trieste Science+Fiction Festival 2017 il nuovo film di Xavier Gens, Cold Skin, una storia di approdo e solitudine su un’isola sperduta, dove tornano le grandi epopee di viaggio letterarie ma anche scientifiche, i racconti d’esplorazione ma anche i richiami ai genocidi del passato e agli incontri di che ben presto sono degenerati in scontri.

Il canto delle sirene
Siamo ai confini del circolo polare antartico. Un piroscafo si avvicina a un’isola deserta: a bordo c’è un giovane, pronto a iniziare il suo lavoro come osservatore meteorologico, vivendo in solitudine lontano anni luce dalla civiltà. Ma, una volta a riva, non trova alcuna traccia dell’uomo che è stato inviato a sostituire: c’è solo un folle bruto che vive nel faro ed è stato testimone di un orrore che non vuole nemmeno nominare. Per i successivi dodici mesi il suo mondo sarà fatto solo di una capanna abbandonata, rocce, silenzio e il mare circostante. Poi arriva la notte… [sinossi]

Un’isola brulla che sembra cosparsa di pece, lavica, desolata, con l’immancabile scheletro di balena spiaggiata. Tutto il contrario delle rigogliose isole tropicali che fanno da sfondo a tanti classici racconti di sopravvivenza di naufraghi. Xavier Gens, che conosciamo bene a partire dal suo horror politico Frontiers, racconta una storia di esplorazione e di deriva, di solitudine in un’isola dove ci sono solo due abitanti umani. Presentato al Trieste Scince+Fiction Festival, Cold Skin è tratto da un dello scrittore antropologo catalano Albert Sánchez Piñol. Nel suo approdo all’isola, Friend, come è chiamato, trova un vecchio pazzo, Gruner, e ben presto si imbatte anche in Aneris, un umanoide di sesso femminile, una specie di primate anfibia, dalla pelle color blu.

Nell’immergersi in questo racconto, Gens cerca di fare tutto il possibile per adottare uno sguardo vergine, aperto allo stupore, come se fosse uno sguardo dell’epoca, dove ogni esplorazione aveva un suo portato di meraviglia, di nuove scoperte. In questo senso, per evitare ogni approccio della mentalità contemporanea dove chiunque può aver fatto mille viaggi nel mondo con i documentari National Geographic, è essenziale l’elemento fantastico, la scoperta del meraviglioso anche ai nostri occhi. Gens modifica l’aspetto delle creature del romanzo, simili a rane, per degli esseri dalle sembianze umanoidi, in realtà nemmeno tanto inverosimili, tanto strani da incutere la paura che si ha verso l’ignoto ma al tempo stesso tanto umani da poter visti come vittime nella loro sofferenza. E ancora in modo funzionale a questo sapore di romanzo d’appendice, da romanzo d’avventure ottocentesco, e perché no a quel cinema classico che ne ha conservato le caratteristiche, della Hammer per esempio, o di George Pal, Gens costruisce un melting pot letterario riprendendo situazioni da Verne, Stevenson, Melville, Lovecraft o da Robinson Crusoe di Daniel Defoe, quando non echi da La tempesta di Shakespeare. Come non vedere nella figura dell’umanoide Aneris, tanto Ariel, da quest’ultima opera, quanto Venerdì di Robinson Crusoe? E c’è pure un momento di erotismo del film che fa pensare alle atmosfere patinate di Laguna blu.

Tra le circumnavigazioni della Storia c’è stata anche quella del brigantino Beagle su cui viaggiava il naturalista Charles Darwin, le cui osservazioni lo avrebbero portato a elaborare la teoria dell’evoluzione, in cui tanta parte ha avuto la scoperta di forme viventi uniche in condizioni di isolamento geografico, proprio come per le immaginarie creature del film. E la storia delle scoperte geografiche, dei peripli oceanici, è anche quella dei genocidi, degli incontri di che sono inevitabilmente degenerati in scontri, anche in mancanza di cattiva fede come nel di trasmissioni di epidemie. E poi le estinzioni di specie, razziate dai marinai, come quei mammiferi acquatici che diedero probabilmente vita alla delle sirene. E se leggiamo Aneris all’incontrario, esce “Sirena”, che è anche una parola spagnola – uguale all’italiano – la lingua del romanziere.
Tutto questo torna nella storia di Cold Skin, nelle creature umanoidi blu, uomini anfibi che popolano l’isola. E sullo sfondo abbiamo la guerra, la Prima guerra mondiale – appena iniziata con l’assassinio di Francesco Ferdinando di cui si ha notizia da un giornale –, il conflitto su larga scala che solo l’uomo bianco è stato in grado di realizzare.

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Cold Skin risulta a maggior ragione convincente anche per l’uso parco di effetti speciali. Tutto è girato in location reali, naturali, anche molto distanti tra loro (Canarie, Islanda), anche dopo peripli vari che hanno portato a scartare diversi luoghi per vari motivi. Mentre gli umanoidi, come si diceva, sono molto umani salvo per il colore della pelle e per le pinne. Funzionali al capovolgimento di situazione e di prospettiva uomo-bestia. Ma in fondo lo aveva capito già Darwin, quando due specie entrano in competizione, quella meno adatta è destinata a soccombere.

Recensione: quinlan.it

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By Anam

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