AUSTERLITZ [SubITA]

Titolo originale: Austerlitz
Paese di produzione: Germania
Anno: 2016
Durata: 94 min.
Genere: Documentario
Regia: Frederick Wiseman

Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di 2016, Austerlitz di Sergei Loznitsa è uno straordinario documentario sulla memoria e sulla sua persistenza, sulla fruizione individuale e collettiva di un luogo di morte e dolore, sulle modalità e sui tempi di questa fruizione. Un film che suggerisce domande, senza imporre risposte, senza invadere mai lo spazio altrui. Tra le vette di Venezia 2016.

La giusta distanza
Vi sono, in Europa, luoghi che sopravvivono come dolorose memorie del passato, fabbriche in cui gli esseri umani sono stati ridotti in cenere. Oggi questi siti sono luoghi del ricordo che, aperti al pubblico, accolgono migliaia di turisti ogni anno. Il film, ispirato all’omonimo di W.G. Sebald dedicato all’Olocausto, si concentra sui visitatori di questo luogo del ricordo creato sull’area di un precedente campo di concentramento. Perché la gente viene qui? Che cosa cerca? [sinossi]

Perché mai una coppia di innamorati o una madre con il figlio
si recano in una bella giornata estiva a vedere i forni crematori?
Per cercare una risposta ho fatto questo film.
– Sergei Loznitsa

Il cinema è (anche) geometria, traiettorie, circolarità, punti di vista. E giusta distanza. Parte proprio dalla ricerca di questa distanza il monumentale cineasta Sergei Loznitsa per il suo ultimo documento/documentario Austerlitz, immersione silenziosa e inevitabilmente dolorosa nel campo di concentramento di Sachsenhausen.
Il ucraino cerca – e trova – un filtro, una sorta di protezione e di guida, per affrontare la trasferta di Orianenburg, a qualche decina di chilometri da Berlino. Uno dei tanti luoghi segnati dalle atrocità della Storia. Loznitsa si affida idealmente alla profondità di sguardo di Jacques Austerlitz, professore di protagonista del Austerlitz di W.G. Sebald: la ricerca del passato e della memoria attraverso i luoghi, la capacità dell’eroe sebaldiano di leggere l’architettura, diventano il mezzo e in buona parte il fine di Loznitsa e di Austerlitz.

La frontalità della macchina da presa e la purezza geometrica delle inquadrature, accompagnate dalla scelta cromatica del bianco e nero, sono la cifra stilistica di un cinema capace di dare corpo ai dilemmi morali (Anime nella nebbia), di rappresentare il popolo (Maidan), di ripercorrere il divenire degli Storia (The Event). Un cinema umanista, rigoroso, cristallino, che sceglie di rendere invisibile la propria presenza, di non pedinare le persone o di immergersi – giudicante – nella folla, ma che ricorre alle pagine di Sebald, alle foglie e ai rami di un albero (la prima sequenza), al cinema purissimo dei fratelli Lumière (l’ultima sequenza). Distanze, filtri e dichiarazioni d’intenti: La Sortie de l’usine Lumière à Lyon non è un vezzo intellettuale, del mero citazionismo, ma la necessità di trovare/tornare a uno sguardo puro, documentario, in grado di evocare senza intrusioni segni, significanti e significati.

Dalla chiarezza del linguaggio e delle linee geometriche di Loznitsa – dalla frontalità della mdp alla circolarità che si apre e chiude con il cancello del campo e con la sua tragica scritta Arbeit macht frei – prende forma la stratificazione visiva e narrativa di Austerlitz, che è riflessione sulla fruizione di massa, da turisti più che da visitatori; immersione nel tempo e nel Tempo, nell’importanza dello sguardo, della testimonianza; un pudico e rispettoso avvicinarsi a un campo di concentramento.
Osservando da dietro un vetro, attraverso una finestra che incornicia o lo sbarre di un cancello, finiamo per focalizzare la nostra attenzione sui dettagli monumentali, che il Tempo ha conservato e che la Memoria dovrà preservare, e sui dettagli umani, sulle parole dei visitatori/turisti, sui rumori dei gruppi organizzati, sui gesti, sulla superficialità e sull’interesse. Sulle distorsioni raccapriccianti (fotografie, atteggiamenti), ma anche sulle traiettorie dolorose di chi sta cercando qualcosa a Sachsenhausen. Qualcosa di liberatorio, forse risposte, forse ancora domande.
Austerlitz è un documentario che ci stimola ad acuire il nostro sguardo, ci offre strumenti per continuare a indagare, ricordare, studiare. In “una tranquilla e calda giornata d’estate”, Loznitsa decide di avvicinarsi ed entrare a suo modo in un “luogo in cui esseri umani furono sterminati”, un “luogo della sofferenza e del dolore”.
Non percepiamo mai, esternamente o internamente al campo di concentramento, nelle scelte estetiche e narrative di Austerlitz, la soffocante retorica e spiazzante vacuità delle parole abusate, della “sofferenza” e del “dolore”. Attraverso la mappatura di Loznitsa, anche grazie ai differenti livelli di fruizione dei turisti e dei visitatori e allo svilimento di un rituale di massa, possiamo cercare di recuperare il senso storico e umano di un luogo. In una trentina di quadri fissi dalla durata diseguale, Loznitsa rimette insieme i pezzi significativi di più storie, alte e basse, di un racconto individuale e collettivo: le voci delle guide, i cartelli insistentemente fotografati, le date, i forni crematori, le stanze buie, soffocanti e claustrofobiche, le docce, i panini e le bibite, i luoghi delle torture, le code per entrare, i selfie, le t-shirt fuori luogo, le risate, gli occhi lucidi, i mattoni e le pietre che hanno resistito indifferenti all’ e al sangue. Austerlitz è il mezzo per riavvicinare fruizione e Storia, è un giorno della memoria eterno, lucido, con gli occhi lucidi. Austerlitz documenta la moltiplicazione dei punti di osservazione (cellulari, videocamere ecc), e la fretta e superficialità che si allarga a macchia d’olio.
Austerlitz è lo sguardo che si sofferma. Uno sguardo che riesce a restare immobile mentre il tempo scorre e altre decine, centinaia e migliaia di occhi si affrettano e si ammassano sull’immagine successiva, guardando e dimenticando. Nei suoi molteplici piani di lettura, Austerlitz è anche (e a tratti soprattutto) un film sulla sconfitta, sulla implacabile massificazione, sulla morte della Storia. Ma non è mai un film sulla resa.

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Guardare, osservare, (cercare di) metabolizzare Austerlitz, ripensando a Safari di Seild. Ancora una volta, dopo i vari The Event, Maidan, Anime nella nebbia e via discorrendo, Loznitsa riesce a trovare la giusta distanza dai luoghi, dalle persone/personaggi, dalla storia e dalla Storia. Quel senso della distanza che Seidl non possiede, ma che nemmeno cerca.
Austerlitz è senza dubbio tra le vette di Venezia 2016.

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By Anam

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