ASCENSION [SubITA]

Titolo originale: Ascension
Nazionalità: Canada, USA
Anno: 2002
Genere: Esoterico, Horror, Spirituale, Visionario
Durata: 108 min.
Regia:

Ascension è la di tre donne. Una giovane, una anziana e una adulta.Un mondo senza Dio, dove tutti gli esseri hanno la facoltà di fare miracoli. La stessa entità che ha ucciso il Creatore, ha conferito agli uomini l’abilità magica e li ha resi, in un certo qual senso, dei piccoli Dei.

Karim Hussain, dopo il controverso ed estremissimo esordio con Subconscious Cruelty (film sufficiente ma che aveva dalla sua, oltre all’elevatissimo livello splatter-anche blasfemico, tanti piccoli difetti e diverse cadute nel semplicistico), arriva alla prova del secondo lungometraggio e si dimostra un regista veramente interessante. Ascension è la di tre donne. Una giovane, una anziana e una adulta. Un mondo senza Dio, dove tutti gli esseri hanno la facoltà di fare miracoli. La stessa entità che ha ucciso il Creatore, ha conferito agli uomini l’abilità magica e li ha resi, in un certo qual senso, dei piccoli Dei. In un mondo dove l’orrore e la depravazione hanno corroso e distrutto tutto, tre donne andranno alla ricerca dell’entità che ha causato tutto ciò, per ucciderla. È bene chiarire che questo non è un film horror in senso stretto, e che l’entità e tutto il resto non sono da intendere come dei topos horror ma come delle metafore filosofiche (perdonatemi l’orrendo termine). Gli omaggi a Stalker di Tarkovskij sono tanti e balzano subito all’occhio, dalla del numero delle protagoniste, passando per gli innumerevoli dialoghi, fino al finale. Ambientato interamente in un edificio (che le tre donne dovranno scalare in tutta la sua lunghezza, poiché all’ultimo piano si trova l’entità da uccidere, in una semplice ma riuscita metafora del percorso difficile e irto di difficoltà che è l’auto-miglioramento e la scoperta di sé), la pellicola di Hussain si snoda attraverso le asfissianti inquadrature metalliche di macchinari giganteschi, scale arrugginite, serpentine infinite di tubi.

L’opprimente sensazione di chiuso e di distacco del nostro mondo moderno, si percepisce in ogni singola inquadratura (molto bella la sequenza dove la macchina da presa si deve divincolare in un groviglio senza fine di travi, per arrivare ad inquadrare le protagoniste). Gli uomini hanno avuto il potere, quel potere che sembravano bramare più di ogni altra cosa e al quale aspiravano da sempre e, ora che l’hanno ottenuto, ora che sono padroni assoluti di se stessi, ora che hanno nelle loro mani le redini delle proprio vite, insomma ora che sono Dio, il mondo è diventato un inferno senza scampo. Nella sua sete mai sopita di auto-disfacimento, l’uomo ha portato morte e distruzione in ogni luogo.In un mondo siffatto, l’unica speranza sembra essere la fine, il nulla. L’oblio perpetuo. Ma, fondamentalmente, la pellicola di Hussain non è così pessimistica e nel bel finale ci propone una via alternativa: la vita nuova che possiamo ritrovare nell’ dei bambini (Stalker docet) contrapposta alla vecchia umanità, quell’umanità virulenta e sporca che ha creato essa stessa i mostri che poi l’hanno soffocata. E che bella la scena dove, durante il parto, le acque che si rompono, il liquido della vita nuova e non corrotta, ancora pura nella sua non-conoscenza del mondo, gocciolano a fianco al sangue, ai denti estirpati, al cuoio capelluto che è venuto via, segni di un’umanità alla fine dei suoi giorni, disfatta e morente.Innumerevoli gli spunti di riflessione: l’evasione del cinema e dell’arte in generale, la famiglia, la tecnologia, la religione.

Sotto il punto di vista visivo, questo film è una piccola perla: la fotografia è perfetta, fredda e glaciale, le inquadrature sono tutte originali e aiutano a entrare nel senso profondo della pellicola più delle stesse parole, gli effetti speciali (anche se non presenti in dosi massicce) sono molto realistici e pregevoli (ma avevamo già visto il grande lavoro che era stato fatto in Subconscious Cruelty). Un difetto che sicuramente è presente, e che darà fastidio a più di uno spettatore, è l’eccessiva verbosità. È vero che il canadese vuole omaggiare il grande maestro russo Tarkovskij e quindi non poteva fare economia sui dialoghi, ma il problema del film di Hussain è che diversi dialoghi (a differenza di quelli del russo sempre interessanti e mai banali, inseriti alla perfezione in quella letterarietà filmica tanto cara a Tarkovskij) non sono all’altezza della situazione e propongono idee un po’ troppo facilone, talvolta banali. La recitazione impeccabile di tutte e tre le donne, in particolar modo la prova intensissima della donna incinta, riescono a trascinare lo spettatore e a creare un senso di soffocamento e di angoscia continuo.

Guarda anche  RATCATCHER [SubITA] 🇫🇷 🇬🇧

Recensione: splattercontainer.com

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By Anam

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