Titolo originale: Rokugatsu no hebi
Nazionalità: Giappone
Anno: 2002
Genere: Drammatico
Durata: 77 min.
Regia: Shinya Tsukamoto
Rinko (Asuka Kurosawa), giovane assistente psichiatrica che lavora per un “telefono amico”, vive repressa in un triste matrimonio con un uomo (Yuji Kotari) che ama, ma che per lei non sembra provare alcuna passione. In suo aiuto arriva Iguchi (Shin’ya Tsukamoto), che Rinko aveva seguito con il suo lavoro, e che, anche attraverso il ricatto, cercherà di “liberarla” sessualmente per insegnarle a vivere serenamente e ad accettare le proprie pulsioni erotiche.
Pochi registi al mondo hanno uno stile così preciso e forte da poter permettersi di raccontare efficacemente le loro storie sconvolgendo felicemente le regole della narrazione perché sicuri di recuperare il coinvolgimento attraverso la messa in scena e il ritmo. Pochi registi al mondo possiedono la nitidezza del marchio di fabbrica delle immagini di Shin’ya Tsukamoto, a cui bastano pochissimi personaggi e ambienti e un b/n virato al blu ai limiti della stilizzazione per creare un mondo personale e credibile. Rinko, una telefonista di un centralino di assistenza sociale particolarmente insoddisfatta della sua vita, si trova ad assecondare un suo utente-voyer che la spinge a mettere in atto le proprie fantasie sessuali più segrete. A confronto con una tematica che nasce da ossessioni erotico-trash e in quei lidi rischia di arenarsi, l’autore di Tetsuo carica il racconto di una visionarietà asciutta, fatta di pochi elementi in scena e il noto stile sincopato e veloce. Il tutto ai limiti di una sintesi (il film dura meno di 80 minuti) che pretende attenzione fiduciosa ma restituisce un’efficacia espressiva che nel cinema contemporaneo si ritrova ormai solo in alcune esperienze honkgongesi. A questa calcolata frenesia linguistica il regista contrappone qui più che mai una serie di immagini stratificate nel piano diegetico che creano diverse dimensioni. Sul racconto dell’ossessione sessuale del voyer e di Rinko si appoggia il mondo delle nitide ed intense fotografie che il primo fa alla seconda, immagini che raccontano una parte intima della storyline della protagonista in modo statico, evocandone intensamente il movimento senza mostrarlo. Si crea così una di queste nuove dimensioni, poggiata sullo strato primario del racconto, il cui senso sta fra la bellezza delle istantanee e il pericolo e la liberazione che quei documenti delle esigenze sessuali represse della ragazza rappresentano per lei. Altro esempio è la scena dell’orgasmo sotto la pioggia, in cui Rinko va in estasi in strada con un vibratore senza fili fra le gambe e una automobile di fronte, vettura da cui il voyer la fotografa insistentemente. La carica erotica unica e morbosa di questa sequenza è generata ancora una volta da una messa in scena molto semplice, in cui la fotografia, il decoupage e i ritmi sono sorvegliatissimi e spinti ai limiti dell’intensità. È l’ennesima nuova dimensione del racconto che sembra adagiarsi sulla narrazione con la sua bellezza di episodio, col rischio di trascendere la necessità narrativa e scadere nel manierismo, ma che in realtà si mantiene sempre in equilibrio su questo pericolo con precisione depalmiana. È un mondo filmico originalissimo, in cui l’exploitation è al servizio di una visione autoriale estrema la cui libertà è – per una volta – completamente giustificata dal talento del cineasta. Rokugatsu no hebi vive di queste impennate improvvise, mixate con accortezza in un racconto sensuale e secco dove ogni fotogramma è necessario e rigoroso.
Recensione: offscreen.it