MEMORIES OF MATSUKO (SubITA)

Titolo originale: Kiraware Matsuko no Isshō
Nazionalità: Giappone
Anno: 2006
Genere: Commedia, Drammatico, Musicale
Durata: 130 min.
Regia:

Tra le migliori pellicole del Far East di Udine, Memories of Matsuko mette in scena, tra comicità, musical e melodramma, un’esemplare storia di amori mancati e ritrovati, di rapporti inutilmente inseguiti, di legami familiari che sembrano irrecuperabili.

E poi mi parli di una vita insieme
Kawajiri Matsuko, una debordante barbona cinquantenne, viene uccisa in un parco: il giovane nipote Shou viene incaricato dal proprio padre, fratello della vittima, di fare un po’ di ordine nel lercio e disordinatissimo appartamento della zia. Il ragazzo, rovistando nell’appartamento, si renderà conto che la vita di Matsuko è stata tutt’altro che banale e prevedibile…

Tetsuya Nakashima, conosciuto dal pubblico del Far East di Udine per lo scanzonato e Kamikaze Girls (2005), ha al suo attivo alcuni lungometraggi e soprattutto una vasta produzione di spot pubblicitari. Il suo nome, in poche parole, non rientrava nella rosa degli autori osannati dai fan o particolarmente attesi: si respirava, al limite, una certa curiosità per la sua ultima fatica cinematografica, Memories of Matsuko, altro film al femminile. A conti fatti, Matsuko potrebbe rappresentare il passo decisivo verso la consacrazione internazionale, e non solo per il terzo posto ottenuto alla kermesse friulana. Oltre ai positivi incassi in patria, questa brillante e struggente pellicola ha tutte le caratteristiche per diventare un piccolo oggetto di culto. Innegabile infatti il di questa operazione sui generis, che trasforma una vicenda virtualmente lacrimevole in uno scoppiettante musical dai mille colori, che solo nel finale lascia deflagrare tutto il potenziale drammatico. Un finale che ci ha ricordato, e non di sfuggita, alcune soluzioni visive e narrative di Satoshi Kon: la presenza del nipote all’interno del flashback rivelatore, il ragazzino con la mazza da baseball e l’inquadratura che ritrae Matsuko come se fosse placidamente addormentata nel parco riecheggiano il lungometraggio Millennium Actress e la serie televisiva Paranoia Agent.

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Tetsuya Nakashima, anche sceneggiatore, ricostruisce la vita della sfortunata eroina attraverso un puzzle che Shou (Eita), lo spaesato nipote di Matsuko (la bravissima Nakatani Miki), ricompone sequenza dopo sequenza, flashback dopo flashback: il ragazzo, parallelamente agli spettatori, parte da un’unica drammatica certezza (il selvaggio assassinio della protagonista), intraprendendo un nel di Matsuko, ma anche nei propri, sfumati, ricordi. La casa della zia, molto più simile a una discarica che a un appartamento, si rivela un prezioso scrigno della memoria, tra inattesi e improbabili poster di band per adolescenti e criptiche scritte sui muri (“Perdonami di nato”).
Il regista nipponico riesce a gestire con ammirevole padronanza, sia dal punto di vista narrativo che squisitamente visivo, un film che avrebbe, in molte altre mani, rischiato il caos e il ridicolo. Pensiamo, per esempio, al contrasto tra il siparietto musicale che ritrae Matsuko felice e realizzata nei panni di brava “quasi” mogliettina di Okano, apparentemente l’ giusto, e gli episodi (e, soprattutto, il personaggio di Megumi) legati alla parentesi “hard”: la Matsuko, aka Yukino, con giacca leopardata e lunghi boccoli rossi, inaspettata macchina del sesso, pur così lontana dall’immagine iniziale, continua a essere la stessa “ragazzina dalla faccia buffa”, preda delle emozioni e incapace di centellinare il proprio amore.

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Memories of Matsuko offre allo spettatore più di un motivo di interesse: opera complessa ed emotivamente coinvolgente, il film di Nakashima mette in scena, tra comicità, musical e melodramma, un’esemplare storia di amori mancati e ritrovati, di rapporti inutilmente inseguiti, di legami familiari che sembrano irrecuperabili. Matsuko, vittima sacrificale dell’egoismo e della rigidità maschile, è un’eroina romantica, che paga duramente la propria generosità e la innocenza: centrale, ovviamente, il conflittuale rapporto col padre (Emoto Akira), un fallimento che segnerà inesorabilmente la vita della protagonista. Nakashima evita accuratamente di cadere nella del cupo melodramma, costellando la pellicola di brillanti motivi musicali (Happy Wednesday, What is a Life e via discorrendo) che oltre ad un per gli occhi e per le orecchie fortificano il legame affettivo protagonista-spettatore, rendendo ancor più straziante, fino al fiume di lacrime, il triste epilogo. Assolutamente funzionali l’incastro dei flashback, i colori sgargianti alla Douglas Sirk, che sembrano voler esorcizzare gli sviluppi drammatici, e gli inserti animati (struggente la colorata strada che dovrebbe condurre alla felicità).

Recensione: quinlan.it

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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