Titolo originale: Ag-o
Nazionalità: Corea del Sud
Anno: 1996
Genere: Drammatico
Durata: 100 min.
Regia: Kim Ki-duk
Il senzatetto Coccodrillo (Cho Jae-hyun) vive sotto il ponte del fiume Han in compagnia di un vecchio (Jon Mu-song) e di un bambino (Ahn Jae-hong). La sua esistenza disperata e solitaria si suddivide tra le piccole truffe svolte in città e lo sciacallaggio dei cadaveri dei suicidi che puntualmente si lanciano in acqua. Un giorno salva da morte certa la giovane Hyun-jung (Woo Yun-kyeong), rendendola sua schiava ma al contempo sviluppando con lei un rapporto di morbosa dipendenza.
Operaio, ufficiale nell’esercito, pittore di strada a Parigi: dopo una vita da apolide e “cittadino del mondo”, a 35 anni Kim Ki-duk esordisce al cinema, ed è subito colpo di fulmine. Crocodile contiene in embrione già tutte le caratteristiche che renderanno il regista asiatico uno dei nomi più importanti e “anomali” della sua generazione, osannato all’estero e poco considerato in patria. A partire dalla feroce critica alla Corea – e alla corsa al capitalismo – contemporanea: il protagonista Coccodrillo è un essere umano abietto, uno scherzo della natura in quanto riflesso e figlio degenere di una società imbevuta di odio perché soggiogata alle proprie pulsioni. La violenza assume una duplice valenza, nella messinscena provocatoria e poco conciliante di Kim: da un lato funge da grimaldello per comprendere la totale mancanza di umanità di cui siamo vittime/carnefici, dall’altro è strumento necessario di “espiazione” per accedere alla redenzione. A veicolare la trasformazione l’elemento dell’acqua, centrale in molte altre opere successive di Kim Ki-duk (basti pensare a L’isola, 2000, e a L’arco, 2005) e simbolico per buona parte della cinematografia orientale. È un’opera prima di grande potenza, narrativa e stilistica, come se ne vedono davvero poche. Nei panni più che convincenti di Coccodrillo c’è Cho Jae-hyun, attore feticcio di Kim presente in ben 6 sue pellicole.
Recensione: longtake.it