
Titolo originale: I Blame Society
Paese di produzione: USA
Anno: 2020
Durata: 84 minuti
Genere: Thriller, Satirico, Commedia, Drammatico
Regia: Gillian Wallace Horvat
Sinossi:
Gillian, aspirante regista ossessionata dall’idea che avrebbe tutte le qualità per essere un’ottima assassina, decide di dimostrarlo girando un documentario sulle sue “prove tecniche di omicidio”. Man mano che il progetto prende forma, la linea tra performance, ambizione e follia si dissolve, trascinandola in una spirale di cinica autodistruzione.
Recensione senza fonti:
I Blame Society è un film che taglia la pelle come una lametta emotiva, un’opera che finge di essere un gioco metacinematografico ma che in realtà esplora con crudele lucidità lo stato mentale di un’artista schiacciata dall’irrilevanza. Gillian Wallace Horvat dirige e interpreta una versione distorta di sé stessa, una figura che incarna la frustrazione di tutte le creative costrette a sentirsi “di troppo”, sempre ignorate, sempre sostituibili, sempre poco accomodanti per l’industria.
La forza del film è proprio questa: la protagonista non è un’eroina da comprendere, né un mostro da giudicare. È un punto di rottura ambulante. E la macchina da presa diventa la sua arma, il suo alibi, la sua confessione. Il mockumentary si trasforma progressivamente in una cronaca disturbante dell’ego quando viene lasciato marcire in un ambiente predatorio, misogino e competitivo fino all’assurdo.
Il film procede con quella calma glaciale che solo le idee pericolose possiedono. I momenti comici sono velenosi, costruiti come piccoli boicottaggi contro la realtà. Ogni interazione, ogni conversazione, ogni rifiuto professionale diventa benzina per la metamorfosi della protagonista, che lentamente smette di fingere di essere “in controllo” e lascia emergere la sua attrazione quasi romantica per la violenza come espressione ultima di autodeterminazione.
Horvat non cerca mai la plausibilità: cerca la verità emotiva. Le situazioni sfiorano il grottesco, ma non diventano mai caricature. Il film rimane credibilissimo proprio perché la sua follia è specchio della nostra epoca: quell’ansia di documentare tutto, quell’ossessione per la performance, quell’idea che se qualcosa non è filmato non esiste davvero.
C’è anche un’ironia terrificante nel modo in cui l’ambizione artistica viene trattata come una colpa. Gillian crea perché non può fare altrimenti, ma il sistema risponde sempre con porte chiuse, paternalismi, “non è materiale adatto”, “non sei abbastanza vendibile”. Ogni volta che la società rifiuta di riconoscerla, lei affila un po’ di più la sua identità deviata. Fino a diventare la cosa che tutti le avevano suggerito di essere: un problema. Una minaccia. Un personaggio “ingestibile”.
Il finale non è una conclusione, è un giudizio universale: quando lasci sole le persone vulnerabili in un ambiente progettato per spezzarle, esse si spezzano. E quando si spezzano, fanno rumore. I Blame Society diventa così non solo un thriller psicologico, ma un manifesto dell’invisibilità contemporanea, una danza macabra dentro l’industria culturale, un testamento di ciò che succede quando l’autoconsapevolezza implode.
È un film che strega, irrita, diverte e inquieta con la stessa identica precisione. E che, con un sorriso obliquo, ti chiede: “sei davvero sicuro che i mostri siano sempre gli altri?”
