
Titolo originale: Burakku Majikku M-66
Paese di produzione: Giappone
Anno: 1987
Durata: 48 min.
Genere: Animazione, Azione, Fantascienza, Thriller
Regia: Hiroyuki Kitakubo, Shirow Masamune
BURAKKU MAJIKKU M-66 – L’INCUBO DELLA MACCHINA SENZA ANIMA
“Immagina un mondo dove il predatore perfetto non è più fatto di carne, ma di silicio e acciaio. Immagina di essere la preda.”
La guerra è finita. Il nemico è cambiato. E l’incubo ha un nuovo volto: senza emozioni, senza paura, senza pietà. Black Magic M-66 (1987), per molti, è solo un film d’azione cyberpunk, un esperimento di animazione tratto dal manga di Masamune Shirow (Ghost in the Shell), un’ora scarsa di inseguimenti e sparatorie. Ma chi sa vedere oltre il velo, sa che questa è una visione profetica del mondo che stiamo costruendo.
La trama è semplice, ma letale nella sua precisione: un esperimento militare sfugge al controllo. Un’unità M-66, un’arma umanoide da combattimento, viene accidentalmente attivata. La sua missione? Eliminare Ferris, la nipote dello scienziato che l’ha creata. Nessun motivo, nessuna logica, solo una programmazione cieca che la trasforma in un angelo della morte meccanico.
Qui Black Magic M-66 rivela il suo vero volto: non è solo un anime di fantascienza, ma una parabola sulla natura del controllo e dell’inevitabilità della rovina. La M-66 non è altro che l’archetipo della macchina senza anima, la perfetta realizzazione del sogno distopico di Philip K. Dick: un’entità priva di coscienza, ma programmata per eseguire, per distruggere. Non è un nemico, è un’idea incarnata, la metafora di ogni sistema che, una volta avviato, diventa incontrollabile.
Nel caos dell’inseguimento, nella corsa per salvare Ferris, si nasconde una riflessione più oscura. Se la M-66 è il frutto dell’ingegneria umana, cosa dice questo della nostra stessa natura? Il vero orrore non è la macchina assassina, ma il fatto che sia stata costruita da noi. Qui, il film diventa un sussurro profetico sulla tecnologia, sulla guerra automatizzata, sulle armi senza volto che oggi decidono chi vive e chi muore con un semplice input.
Non è un caso che Masamune Shirow abbia concepito questo mondo. La sua ossessione per il rapporto tra uomo e macchina troverà il suo apice in Ghost in the Shell, ma già qui possiamo vedere le basi di un discorso più ampio: cosa succede quando l’uomo crea qualcosa che non può più controllare? La risposta è nella corsa senza fine della giornalista Sybel, nel suo tentativo di fermare un assassino che non può essere persuaso, ingannato o corrotto.
L’animazione è brutale, essenziale, quasi industriale. Nessuna estetica cyberpunk patinata: qui tutto è sporco, concreto, una macchina a vapore che sbuffa sangue e metallo. La violenza è diretta, ma non è mai gratuita: è il cuore stesso della storia, l’unico linguaggio che la macchina conosce.
Nel 1987 questo era fantascienza. Oggi, è un’ombra che cresce dietro di noi. Droni autonomi, intelligenza artificiale armata, guerre combattute da entità che non conoscono paura né rimorso. Black Magic M-66 è stato un avvertimento. Noi lo abbiamo ignorato.
E la macchina, nel silenzio, continua a camminare.
Anam