LIMBO [SubITA]

Titolo originale: Limbo
Paese di produzione: UK
Anno: 2020
Durata: 104 min.
Genere: Drammatico
Regia: Ben Sharrock

Su una remota scozzese, un gruppo di rifugiati aspetta di ottenere asilo. Tra costoro, vi è Omar, un giovane musicista siriano che è oppresso dal fardello rappresentato dall’oud di suo nonno, che è riuscito a portarsi dietro dalla terra natale.

Un gruppo di richiedenti di nazionalità diverse viene “parcheggiato” in una landa desolata della Scozia, le Ebridi esterne per la precisione: lì, lontani dalle loro terre d’origine e dalle loro vite precedenti, non devono far altro che attendere che arrivi una risposta. Impossibilitati a lavorare, vivono con un sussidio minimo… ma non è il tema della povertà che viene messo in risalto, quanto la perdita d’identità.
Trattare il tema dei migranti è sempre opera complessa ma Ben Sharrock, al suo secondo lungometraggio, tira fuori un film che è entrato di diritto tra quelli del cuore, per quanto mi riguarda: fin dalle prime sequenze si capisce che ci si trova di fronte ad un’opera fuori dai canoni, in cui il riesce a tenere un difficilissimo bilanciamento costante tra umorismo e tenerezza… posso dirlo senza timore di caricare troppo di aspettative ma il richiamo al di Kaurismaki è davvero forte e me l’ha fatto amare senza riserve.

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Il protagonista, di cui seguiamo solo una parte della sua personale odissea, è Omar: fuggito dalla Siria con il suo oud (strumento a corde) appare ovvio che, oltre alle difficoltà contingenti, sono altri i fantasmi che trascina con sé. I genitori si sono rifugiati in mentre il fratello Nabil è tornato in patria per combattere il regime: la figura del fratello è una di quella ingombranti, specie quando agli occhi di tutti è l’eroe, mentre Omar ha cercato la “via facile” di scappare in cerca di benessere… cosa che, seppur velatamente, i genitori stessi finiscono col dirgli, in una delle tante telefonate fatte da una cabina in mezzo al – letteralmente – nulla. Le aspre e brumose distese in cui sono costretti questi migranti, oltre ad offrire una bizzarra scenografia naturale, amplificano il senso di straniamento che stanno vivendo ed incarnano benissimo la del “limbo” in cui si trovano.

Accanto ad Omar vediamo i due “fratelli” Abedi e Wasef, un litigio costante che va dalle prospettive di vita futura (uno in cerca di un impiego umile, l’altro col sogno nel cassetto di giocare nel Chelsea) all’interpretazione delle puntate di ‘Friends’… ma il personaggio che probabilmente vi strapperà più di un sorriso è Farhad, profugo afghano con la per i polli e per Freddie Mercury, che si autoproclama agente/manager di Omar: un personaggio che non ho potuto fare a meno di adorare, con quel suo misto d’ingenuità e concretezza… riesce a trovare una parola giusta sia per risollevare il sia per far riflettere il buon Omar, come quando gli dice – e mai parole furono più appropriate, nonostante il suo inglese stentato – che porta in giro il suo oud come se fosse la bara della sua anima.
Simpaticissime e assurde comparse sono poi Helga e Boris, incaricati di dare improbabili lezioni di “inserimento” nella nuova vita che li aspetta (e che probabilmente non vedranno mai, come per la fantastica lezione sull’approccio alle donne). C’è uno stacco, poi, verso la fine, molto evidente: potrà piacervi o farvi storcere il naso ma, tra l’ ed il viaggio interiore, assisteremo ad un dialogo immaginario ma necessario affinché Omar possa almeno cacciare i suoi fantasmi, se proprio dev’ costretto in questo limbo.
Amato dalla prima scena, quella che mi ha fatto capire subito che l’avrei tradotto: non perdetevelo.

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By catsicklair sub

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