Titolo originale: Lux Æterna
Paese di produzione: Francia
Anno: 2019
Durata: 51 min.
Genere: Drammatico, Esoterico, Thriller, Visionario
Regia: Gaspar Noé
Due attrici, Béatrice Dalle e Charlotte Gainsbourg, sono sul set di un film a raccontarsi storie di streghe.
L’inferno del set. La stregoneria attraverso i secoli. Cinquanta minuti ancora estremi nell’opera del cineasta francese dove conta uscirne vivi. Per noi una totale danza dionisiaca. Fuori concorso
Fassbinder. E tutto il cast nei titoli di coda. 50 minuti ubriacanti. Che sradicano ogni forma. Il collegio di Climax diventa il set di Lux Æterna. Béatrice Dalle e Charlotte Gainsborg che dialogano, prima in split-screen, poi dal vivo, sulla stregoneria. Poi c’è la lavorazione. Dove spuntano le fiamme dell’inferno del cinema di Gaspar Noé. Già annunciate da quelle di Dreyer in Dies Irae. Che poi racconta come venne girata quella scena. Appena finisce la pausa il set diventa una guerra. Con un’intermittenza ipnotica di blu e di rossi. E un movimento continuo. Anzi di più. Incessante. Non sembra esserci spazio. Come Irreversible e Love, ancora un cinema dove non c’è distanza fisica. La Dalle che non regge la pressione.
Il sintagma che Gaspar usa quale titulus deve avere a che vedere con la luce eterna e con la luce che, allo stesso tempo, obnubila, secondo il testo alchemico di Crassellame. Prendendo un oggetto filmico di Noé, qualunque oggetto, ogni esegesi, ogni giro o gioco di parole e di concetti, diventa possibile. Persino auspicabile. Leggere un film di Noé ha la stessa quota di incertezza che decrittare il manoscritto Voynich. Siamo ben oltre la più complessa tra le sciarade complesse della Settimana enigmistica. Cos’è, questo, dunque? Un segnale di resa? No, sì, forse… I fatti storici sono i seguenti: nel febbraio di quest’anno, Anthony Vaccariello, direttore creativo della maison Saint Laurent, offre a Noé il proprio supporto chiedendogli un’idea per un cortometraggio. «Due settimane dopo, in cinque giorni, con Béatrice e Charlotte abbiamo improvvisato questo film… che è cresciuto fino a diventare di 51 minuti». Beatrice Dalle e Charlotte Gainsbourg dialogano di fronte a un camino acceso in split-screen. Parlano di streghe, anche del fatto che la Dalle, negli anni che furono i suoi di massima esaltazione, venne in Italia agli ordini di Bellocchio a recitare nella Visione del Sabba.
La conversazione spazia, si articola, deraglia, in una atmosfera assolutamente decontractée, fino a toccare l’aneddoto di quando la Gainsbourg si vide eiaculare sulle gambe da un attore sedicenne in un film non nominato ma che, alla fin fine, deve essere Nymphomaniac. Dopodiché, il quadro si fa più chiaro (insomma…), rivelandoci che siamo nelle retrovie di un set. La Dalle è la regista del film, che si intitola God’s Work, Charlotte la protagonista. Tutto si sta preparando perché venga girata una sequenza in cui tre donne arrostiscono legate ad altrettanti pali. Streghe, appunto. Il filo logico delle streghe, quello, almeno, è chiaro. Come intro a Lux Aeterna, Noé ha posto un frammento del Dies Irae di Drayer: quello in cui la vecchia Sigrid Neiiendam viene gettata nelle fiamme dagli inquisitori. E ha disseminato a mo’ di esergo, tra le varie cesure del mediometraggio, apoftegmi da Godard, Fassbinder e altri, che dovrebbero farci da guida circa il sensus abditus dell’operazione. Queste citazioni sono variate nel tempo, sono state cambiate e spaziano da un apologo dostojevskiano dell’epilessia alla rivendicazione del ruolo dittatoriale del regista sul set. Si va a braccio e anche a vanvera, un po’, secondo il modo di procedere schizofrenico, nel contenuto, ma controllatissimo nella regia, che distingue Noé, il quale chiede alle sue interpreti di improvvisare, tipo la discussione en liberté dell’inizio (ci hanno visto una critica al movimento #metoo per certe uscite della Dalle, ma attenzione, considerato tale metodo di lavoro, a traslare le idee nella testa di Gaspar).
Lux Aeterna prosegue serpeggiando (quasi) sempre in split screen sul set del film in lavorazione, dove dominano litigi acri e deliri. Alla Dalle, tallonata da un videomaker cinese che sta forse realizzando il backstage, si capisce che il produttore vorrebbe sottrarre il comando, mentre la Gainsbourg riceve un’allarmante telefonata dalla figlia, che si è ferita o è stata ferita a scuola. L’allestimento della scena del rogo mistico, prima con controfigure, poi con Charlotte fiancheggiata da due modelle (una è Abbey Lee, quella di The Neon Demon, a tettine nude), prelude al collasso globale. Della Dalle, ondivaga, disperata e urlante tra i corridoi deserti del set, da una parte; e dall’altra di qualche circuito elettrico, che causa una tempesta di flashes multicolori (la citazione letteraria sull’epilessia) e di suoni stridenti in loop. Tutto continua come se niente fosse, sebbene la Gainsbourg, torturata al palo d’infamia della finzione scenica, patisca, nella realtà, la terribile sevizia sensoriale. Morale: il Cinema che, o è atto violento, bacchico , dionisiaco, furibondo, selvaggio, epilettico. Oppure non è. Potrebbe essere, forse, chissà…