TORSO [SubITA]

Titolo originale: Toruso
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2009
Durata: 104 min.
Genere: Drammatico
Regia: Yutaka Yamazaki

La placida narrazione della vita di una solitaria donna di Tokyo e di sue due relazioni: quella con la sorellastra e quella con il busto protesico con cui dorme di tanto in tanto. 

Già fedele direttore della fotografia per Hirokazu Koreeda, il più credibile continuatore della tradizione di Ozu, Yutaka Yamazaki debutta alla regia – anche a settant’anni si può – per mettere in scena un soggetto assai curioso. Una storia di donne in cui sono solo loro a parlare e a rivelare o nascondere i loro segreti, anche morbosi o imbarazzanti. Contrariamente a quel che può far pensare una nazione che presenta ancora residui della forte impostazione maschilista della tradizione, il cinema giapponese è forse quello che negli ultimi anni meglio ha saputo approfondire tematiche esistenziali da un punto di vista strettamente femminile (One Million Yen Girl, Nana, Kamikaze Girls, ecc.) in maniera credibile e senza mai dare l’impressione di un pamphlet preconfezionato e a base di slogan, come spesso capita in occidente con operazioni analoghe.

Lo sforzo di trasmettere le tensioni tra le due donne è tale da far quasi dimenticare a Yamazaki il suo passato, visto che l’attenzione dedicata alla fotografia in Torso passa paradossalmente in secondo piano rispetto alle dinamiche che intercorrono tra le due donne. Che oltre a essere sorelle, e per di più di padri diversi, hanno pure condiviso lo stesso fidanzato. Scintille garantite, ma il contrasto tra le personalità di Hiroki e Mina si appiana man mano che scopriamo di più su quello che le accomuna (quel che le separa è del tutto evidente) e soprattutto quando emergono ombre di un difficile da dimenticare.
In tutto ciò l’Uomo, nel senso di rappresentante del sesso maschile, è fuoricampo, compare solo sporadicamente come un prevedibile elemento di disturbo, una sorta di male necessario, al punto tale che un torso può rappresentare un surrogato sufficiente. Un torso di uomo candido, classico e impersonale come un pezzo di David di gomma, idealizzato ma pure inevitabilmente soggiogato; drasticamente ridotto alla sua virilità e sfrondato degli elementi di disturbo, testa in primis (ça va sans dire).

Solo lo spettatore-voyeur ha il privilegio di vedere Hiroki per come realmente è e di coglierla nei rari attimi di felicità, come quando in spiaggia si spoglia e si getta in mare in compagnia del suo torso sorridendo, quasi fosse libera(ta). Come se un simulacro di uomo e un simulacro di felicità rappresentassero l’unica alternativa possibile.

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