THE TROUBLE WITH BEING BORN (SubITA)

Titolo originale: The Trouble with Being Born
Paese di produzione: Austria, Germania
Anno: 2020
Durata: 94 min.
Genere: Drammatico, Fantascienza
Regia: Sandra Wollner

A quattro anni dal brillante esordio The Impossible Picture torna alla regia la trentasettenne austriaca Sandra Wollner. The Trouble with Being Born è una sorta di rilettura in controluce di A.I., un anti-Pinocchio in cui a dominare è la mancanza di volontà, la ripetizione coatta figlia di un desiderio inappagabile. Coraggioso nel mettere in scena l’ in un modo così brutale ed estremo, The Trouble With Being Born è un affascinante, fantascienza minimale e umanista. Nella neonata sezione Encounters alla Berlinale.

Gli androidi sognano tuffi in piscina
Da qualche parte nella Mitteleuropa, con ogni probabilità non lontani da Vienna. Elli passa le giornate con suo padre, tra un tuffo in piscina, i giochi con una cavalletta, e i pianti notturni placati dalla presenza del genitore. Ma c’è un particolare: l’uomo non è suo padre, ed Elli non è un essere umano, ma un androide programmato per rispondere ai desideri e alle memorie del suo “proprietario”. Una notte Elli, uscendo di casa, si perde nel bosco… [sinossi]

Erano quattro anni, da quando iniziò ad andare in giro per festival – in Italia a Torino, grazie al di Massimo Causo e Roberto Manassero in Onde – The Impossible Picture, che si attendeva con ansia il ritorno alla regia di Sandra Wollner, tra gli sguardi più interessanti del cinema europeo giovane. Se questo tempo ha avuto un termine, grazie alla presentazione alla Berlinale dell’opera seconda The Trouble with Being Born, lo si deve innanzitutto al sempre eccellente lavoro della Filmakademie Baden-Württember, e in secondo luogo (e con ogni probabilità soprattutto) alla vittoria del Preis der deutschen Filmkritik ricevuto dalla trentasettenne regista austriaca lo scorso giugno per il film d’esordio. Con appena tre anni di distanza dall’effettiva realizzazione. Polemiche sulla lentezza e la miopia della critica a parte, quel che appare evidente è che il tempo intercorso tra il primo e il secondo film non ha intaccato in alcun modo la poetica espressiva di Wollner, permettendole semmai una produzione più ambiziosa, in grado di supportare il peso di un’opera stratificata, che si muove nel campo della fantascienza, ragionando sull’intelligenza artificiale e arrivando a soluzioni narrative al limitar dello scabroso. È interessante come The Trouble with Being Born sia stato scelto per far parte della selezione di Encounters, la neonata sezione della Berlinale voluta dal direttore Carlo Chatrian e che qualche polemica ha prodotto in terra tedesca – da molti è stata letta come una sorta di “atto di guerra” (il virgolettato è d’obbligo) nei confronti della storica sezione Forum, visto che molti degli autori avrebbero potuto far parte anche dell’altro programma –; interessante perché in qualche misura certifica le notevoli aspettative che già smuove la giovane filmografia di Wollner, autrice che sembra davvero destinata a un futuro radioso.

Che lo sguardo di questa giovane cineasta non si muova in direzione della prammatica lo certifica fin da subito ciò che avviene in scena. Di per sé il mondo ritratto nella prima parte di The Trouble with Being Born potrebbe apparire in tutto e per tutto normale, o meglio ancora normativo: un uomo con una figlioletta di 10 anni passa il tempo nella sua bella e ultramoderna villetta con piscina, godendosi una ragazzina vispa, felice, che vuole tuffarsi in piscina e giocare con una cavalletta capitata nel giardino. Tutto idilliaco, perfetto, privo di increspature. Ma Wollner ingarbuglia immediatamente la matassa, perché il suo film è ambientato in un non meglio precisato futuro e Ellie, la vivace bimbetta, è un androide. Si potrebbe dunque pensare a un detour sul tema portante di A.I., e quindi a una versione ulteriormente aggiornata del Pinocchio di Carlo Collodi, una riflessione sull’infanzia impossibilitata a svilupparsi, a progredire verso la forma adulta. Ma Wollner non si ferma a questo, e anzi ribalta completamente la prospettiva, perché Elli, la sua androide, non possiede alcuna volontà. Tutto ciò che pensa e che dice, ogni sua singola azione, è il risultato della programmazione portata a termine Georg, l’uomo che l’androide ha imparato a chiamare “papà”, ma che non ha mai generato. Elli è un essere statico, ripetitivo, che non possiede – al contrario del protagonista del film di Spielberg e ovviamente ancor più di Pinocchio – alcuna attività cerebrale. Elli è un androide, un fisico da sfruttare. Ed è qui che Wollner compie il passo che in pochi avrebbero il coraggio di compiere, inserendo con grande forza l’elemento sessuale all’interno del rapporto tra padre e figlia. L’incesto è suggerito con forza, tra abbracci lascivi, memorie di giochi sotto il telone del mare, e alcuni nudi (ovviamente lavorati in post-produzione) della piccola, che si spoglia di fronte al padre per farsi ammirare. Il chip della sua programmazione ha dopotutto due punti di connessione nel corpo di Elli: la bocca, tramite la lingua, e la vagina. Dopo gli undicenni disinibiti di Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, la Berlinale mostra un’altra cineasta europea decisa a superare i tabù sull’infanzia, e le visioni predigerite della stessa.

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Da un punto di vista narrativo The Trouble of Being Born è bipartito, perché Elli passa a un’altra e diventa Emil. Questo scarto, che serve a superare un altro confine, quello tra femminile e maschile, è però gestito in modo un po’ meccanico da Wollner, e il film si fa meno netto, più farraginoso, quasi che la portata metaforica e teorica del dovesse superare di netto la storia, e asservirla alle proprie necessità. Dopotutto il riferimento filosofico all’esistenzialismo venato di pessimismo radicale di Emil Cioran è dichiarato fin dal titolo (L’inconveniente di essere nati venne dato alle stampe nel 1973), e rischiano di apparire pleonastici i riferimenti all’Austria degli anni Quaranta e Cinquanta, che pure erano già l’epicentro di The Impossible Picture. Per fortuna a non venire mai meno è lo sguardo, lucido e tagliente, di Wollner, sempre in grado di trovare un punto di vista inaspettato, sorprendente. In suo soccorso poi giunge anche il lavoro sulla fotografia, di nuovo opera di Timm Kröger, a sua volta autore dell’ottimo The Council of Birds (che venne presentato nella Settimana della Critica di Venezia nel 2014), e l’eccellente utilizzo del sonoro, lavorato da Johannes Schmelzer-Ziringer e Peter Kutin, che tra acusma, fuori campo e contrappunti crea un ulteriore livello narrativo. A lasciare infine a bocca aperta è l’eccezionale interpretazione di Lena Watson – ma a quanto afferma Wollner si tratta di uno pseudonimo, proprio per il ruolo così delicato – protagonista sia nei panni femminili di Elli che in quelli maschili di Emil. È nata una stella, anche se androide.

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