Titolo originale: The Square
Nazionalità: Danimarca, Francia, Germania, Svezia
Anno: 2017
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 151 min.
Regia: Ruben Östlund
Idiosincrasie e assurdità dell’uomo contemporaneo. Ma a Ruben Ostlund l’impresa riesce a metà o poco più. Tuttavia The Square rimane un film importante.
«Il quadrato è un santuario». Così viene presentata in un museo d’arte contemporanea di Stoccolma l’installazione di un’artista argentina. Ruben Ostlund si colloca nell’alveo di una tradizione precisa, intrisa di quello humor scandinavo, così freddo eppure così incisivo. Protagonista è Christian, il curatore di questo museo, a cui un giorno vengono rubati telefono e portafoglio in maniera alquanto ingegnosa: una donna gli corre incontro, spaventata a morte per via di un uomo che la insegue e che, a suo dire, la vuole uccidere. Mente Christian si prepara a prendere le difese della povera sciagurata, il piano viene messo in atto e l’inseguitore gli si para davanti di colpo, arrestando la propria corsa: «non ce l’ho con te, ciao». Dopo lo stupore iniziale, Christian appare rinvigorito, soddisfatto: finalmente ha sperimentato qualcosa d’insolito.
The Square è una parabola esistenzialista tipicamente nordica, come già evidenziato, che riesce a toccare i tasti giusti, dando esposizione a quelle zone su cui ci si sta giocando l’equilibrio della nostra epoca. Qualcuno mette la pulce nell’orecchio a Christian, il quale si lascia convincere a recuperare il telefono dopo averlo individuato grazie a un’app specifica; trovato l’edificio si pone il problema di capire chi dei tanti abitanti potrebbe essere stato ed allora si opta per una lettera minacciosa lasciata nella casella di ciascun inquilino, con le istruzioni relative alla restituzione del maltolto. S’innesca qui giusto una delle sottotrame di cui è costellato il film, sebbene non ve ne sia una che s’imponga rispetto alle altre.
Ostlund pare essere più interessato a battere dove il dente duole, a sottoporci situazioni grottesche, al limite col surreale, in cui certe sfumature vengono sì esasperate ma non senza ragione. E in fondo ci si fa ridere con cose semplici, come l’intervista ad un artista continuamente interrotta da una persona affetta da sindrome di Tourette. L’intuizione stessa di partire dall’arte contemporanea peraltro è indicativa circa le intenzioni: qual è il confine tra quanto c’è di buono e la fuffa? Ed è la prima domanda. Secondo: su quanta di questa fuffa si sta reggendo la nostra Civiltà, quella che, almeno a parole, diciamo di voler difendere ad ogni costo? Una delle installazioni è rappresentata da una serie di dune appuntite composte da un materiale simile al calcestruzzo. Ostlund inserisce le sortite di alcuni visitatori a mo’ d’inserti: chi dà un’occhiata e scappa, chi prova a fare una foto ma non può e scappa, chi cerca di capire ma non ce la fa… e scappa. Finché il ragazzo delle pulizie non ne risucchia una piccola parte con l’aspirapolvere ed allora è un problema, l’opera compromessa.
Non è mai troppo sottile The Square, il cui titolo è già piuttosto eloquente: il riferimento è infatti ad un quadrato dai lati illuminati posto per terra. Ma square è anche la piazza-mondo, quella, come recita la descrizione dell’installazione, «dalle responsabilità condivise». La critica portata avanti è aspra e in alcuni casi sopra le righe, in cui certa variegata cultura di oggi viene evocata in lungo e in largo. I tizi che curano la campagna di comunicazione se ne escono, per esempio, con un video di pochi secondi in cui fanno esplodere un bambino di due/tre anni per incrementare visualizzazioni su YouTube; ci riescono, ma questo crea più problemi di quelli che risolve. I giornalisti intervenuti alla conferenza stampa da un lato chiedono la testa del responsabile, dall’altro temono sia stato raggiunto il limite oltre il quale la cosiddetta libertà d’espressione non può più spingersi.
Come si vede, l’ultimo lavoro di Ostlund è molto ambizioso in questo suo intraprendere una missione pressoché impossibile, ossia dare contezza delle contrarietà di un’intera generazione, succube dell’inflazionato politicamente corretto, i cui contorni sono sempre meno definiti, smarrita perché i punti di riferimento li ha in larga parte rigettati. Un discorso che alcuni tenderanno a tacciare come sospettosamente reazionario, il che è a sua volta indicativo del livello a cui siamo, incastrati nelle stesse trappole che abbiamo costruito e che contribuiamo a non disinnescare. Ma il meglio The Square lo dà evidentemente quando si tratta di spingere sull’assurdo, come l’inserimento della scimmia, una chicca mica male e che genera una genuina ilarità, lì sul divano che disegna mentre nell’altra stanza Christian si prepara a una nottata di sesso che non dimenticherà; non tanto perché di qualità, anzi, per come viene girata la scena si evince la meccanicità del gesto. No, è quello che avviene dopo, un passaggio che ci limitiamo a titolare «la scena del preservativo usato».
Peccato che Ostlund non riesca a far convogliare il tutto verso un unico punto, il che in parte è implicito nella premessa. E poi anche perché, dopo aver sorriso per buona parte del film, il corollario ha da essere terribile, come di fatto è l’epilogo, nel quale Christian si ritrova a fare i conti con una serie di errori dapprima banali. Una delle scene più forti la troviamo proprio in questa fase, un’inquadratura sulle figlie in macchina col papà, le quali, dopo aver fatto le pestifere per tutto il film, vengono rapite da uno stato di consapevolezza che colpisce e ci dice qualcosa anche in merito alle intenzioni di Ostlund. Attraverso Christian, il regista svedese a questo punto si domanda infatti quale mondo lui e la sua generazione sta lasciando a coloro che per il momento si limitano ad osservare e perciò apprendere, ossia i bambini. E a dispetto della durezza del finale, quanto lo precede sembra quasi lasciare uno spiraglio di fiducia. Il problema sta semmai nel fatto che The Square sia meno risolto rispetto a Force Majeure, e l’impressione è ahinoi che non potesse essere altrimenti.
Recensione: cineblog.it