
Titolo originale: Nähtamatu võitlus
Paese di produzione: Estonia, Grecia, Finlandia, Lettonia
Anno: 2023
Durata: 115 min.
Genere: Azione, Commedia, Visionario
Regia: Rainer Sarnet
Un monaco ortodosso che pratica il kung fu. Una chitarra heavy metal che grida l’assenza di Dio. Un attacco improvviso in puro stile wuxia in mezzo al confine sino-sovietico. Questo non è un trip psichedelico uscito da una notte alcolica con Tarkovskij e i Wu-Tang Clan, è The Invisible Fight, l’ultimo delirio alchemico di Rainer Sarnet. Un film che non si guarda: si attraversa. Come un rito, come una febbre, come un’epifania.
Nel piombo dell’Estonia sovietica anni ’70, Rafael – meccanico, devoto, sballato e assetato di qualcosa che non capisce – si ritrova testimone e sopravvissuto di un massacro surreale: dei monaci armati di kung fu lo assaltano come fantasmi da un’altra dimensione. È da questo evento che si innesca il viaggio. Ma non un viaggio narrativo. Un viaggio alchemico. Una parabola interiore che lo porterà a un monastero ortodosso dove i monaci pregano Dio facendo stretching Shaolin, tra citazioni dei Black Sabbath e riflessioni zen sulla castità.
Sarnet, già autore del gioiello in bianco e nero November, torna a usare il cinema come linguaggio magico, simbolico, iniziatico. Qui il nonsense si fa metodo: non esiste coerenza lineare perché ogni scena è un koan zen, un paradosso da decifrare col cuore più che con la mente. L’umorismo assurdo che pervade ogni inquadratura – i monaci che fanno arti marziali come se fossero in un film di Stephen Chow girato da Béla Tarr – non è semplice parodia: è sabotaggio spirituale.
The Invisible Fight è un attacco frontale alla serietà ipocrita della religione istituzionalizzata, ma anche una dichiarazione d’amore per l’idea che la disciplina del corpo – attraverso l’arte, la preghiera, la musica – possa condurre a una forma di verità. In un mondo dove il sacro è morto e sepolto sotto le rovine del socialismo reale, Rafael cerca Dio nel sudore dei kata, nella distorsione elettrica, nella rinuncia all’orgasmo.
Dietro i colori saturi e le risate da acido c’è una riflessione profondissima sul bisogno umano di appartenenza spirituale. La lotta invisibile – quella del titolo – è il conflitto interiore che ognuno di noi combatte ogni giorno contro il vuoto, il desiderio, l’ego e la paura. E lo fa come può: col kung fu, con la birra, con la preghiera, con i Black Sabbath.
Rainer Sarnet non ci offre una via: ci mostra il caos, la contraddizione, la poesia esoterica dell’esistenza. E lo fa danzando tra generi, stili e piani simbolici. C’è qualcosa di Mishima in questo film, ma filtrato dalla lente distorta di un mondo che ha già perso la fede ma non ha smesso di cercarla.
The Invisible Fight è un’opera iniziatica, una prova da affrontare a cuore aperto e mente sgombra. Non un film da capire, ma da lasciare entrare sotto pelle, come un mantra sbagliato, come una preghiera sporca, come un sogno di redenzione che passa per il ridicolo.
Benvenuti nel monastero dove si mena e si medita. E ricordate: la lotta più dura è sempre quella che non si vede.
Anam
Grazie a Francesco Bosso per i subbi !!!