
Titolo originale: The A-Frame
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 2024
Durata: 97 min
Genere: Horror, Fantascienza, Esoterico
Regia: Calvin Lee Reeder
Sinossi (da IMDb):
Un uomo isolato tra le montagne costruisce una misteriosa struttura triangolare — un’A-Frame — convinto che possa fungere da portale per altre dimensioni. Ma mentre la sua ossessione cresce, il confine tra realtà e follia si dissolve, trasformando l’esperimento in un incubo cosmico.
Con The A-Frame, Calvin Lee Reeder — già autore del disturbante The Rambler e del più alienato The Oregonian — torna a popolare l’America rurale di incubi e interferenze metafisiche. È uno di quei registi che sembrano lavorare da un bunker mentale, in ascolto di un’altra frequenza, convinti che il mondo visibile sia solo un rumore di fondo. Qui ci trascina dentro un delirio geometrico, una casa triangolare che è insieme rifugio, antenna e trappola.
Reeder filma l’A-frame come se fosse una creatura viva, un’architettura sacra eretta per invocare forze antiche. Le pareti di legno diventano membrane tra mondi, i chiodi pulsano come vene. Non è fantascienza: è una specie di mistica del legno, una teologia da carpenter di campagna, dove l’artigianato diventa alchimia e la segatura si mescola al sangue.
Il protagonista, un uomo solo, cerca un contatto con l’ignoto. Non è il classico scienziato pazzo né l’eremita esoterico da manuale: è un americano stanco, uno che ha smesso di credere nei vicini e ha iniziato a credere nei segnali. Le sue mani costruiscono, ma la sua mente disfa. La casa si erge come un monolite povero, un diagramma cabalistico tradotto in legno di pino.
A ogni martellata sembra risuonare una domanda cosmica: che cosa succede quando l’uomo crea un luogo che non è fatto per gli uomini?
Reeder, come sempre, lavora per accumulo di immagini più che per trama. Ogni inquadratura sembra strappata a un sogno febbrile, le luci oscillano tra il fluorescente e il necrotico, e il montaggio sembra respirare con lo stesso ritmo del protagonista. La paranoia cresce come muffa. Le voci che sente — o crede di sentire — sembrano provenire non dallo spazio, ma da dentro la sua stessa costruzione, come se l’A-Frame stesse imparando a parlare, a vibrare, a rispondere.
C’è in The A-Frame la stessa disperazione cosmica che attraversa Lovecraft e Stalker, ma filtrata attraverso un’estetica da VHS abbandonata nel deserto. Un cinema sporco, stonato, ma profondamente sincero nel suo tentativo di trovare il divino nel deforme. Non è un film che vuole spiegarti nulla, ma ti chiede di entrare nel suo ritmo, di accettare che forse il portale non è la casa, ma la mente che la guarda troppo a lungo.
Alla fine, quando la realtà si sfalda e la geometria implode, resta un’impressione potente: che l’uomo moderno, perso nel rumore digitale, cerchi ancora un modo arcaico per parlare con l’Assoluto — e che lo faccia con chiodi, martelli e una fede sbagliata. The A-Frame è un film che ti parla del desiderio umano di toccare il mistero, e del rischio di rimanerne bruciato.
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