TALKING HEAD [SubITA]

Titolo originale: Talking Head
Paese di produzione: Giappone
Anno: 1992
Durata: 105 min.
Genere: Drammatico, Giallo, Thriller, Visionario
Regia: Mamoru Oshii

Metacinema d’animazione: la lavorazione di un attesissimo anime è funestata: il scompare nel nulla, il rimpiazzo è un incapace e qualcuno inizia a trucidare i membri della troupe. La morte al lavoro, dietro la macchina.

” Certi autori posseggono il dono di spaesare, inquietare utilizzando all’inizio strettamente realisti [..] Il senso di mistero, l’arte di introdurre il non cartesiano in mezzo a quello che definiamo reale, possono, allo stesso modo, contribuire alla realizzazione d’opere autenticamente fantastiche.”

René Prédal in ‘Le cinema Fantastique’, CinemaClub Seghers, Vichy 1970.

Una ‘Testa parlante’ in movimento.
Come la si poteva ammirare nella magia primigenia del primo girato dei fratelli Lumiere, ma soprattutto in quello del magico Melies, trucchi, escamotage visivi, fantasmagorie, la pura meraviglia.
Questo film live di Mamoru Oshii del 1992, (non primo e non ultimo) spiazzò parecchi fan del ‘serioso’ regista del capolavoro animato Lamù: Beautiful Dreamer (1984) del glaciale e geniale Angel’s Egg (Tenshi No Tamago, 1985) e del primo film di Patlabor (1988). Oshii sembrò tutto ad un tratto urlare: “Signori, ora vi darò qualcosa di completamente diverso!!” Sipario !!!

In realtà non propose qualcosa di “completamente diverso”, ma in realtà fu espansa in modo approfondito e con una forma adeguata una parte di poetica che sempre aveva fatto più che capolino nella serie televisiva, in massima parte da lui diretta e forgiata, Lamù, La ragazza dello spazio (Uruseyatsura, 1981-1984). Un modo di regia che assomigliava ad una spaesata stasi della “finzione” di un set, della intera messa in scena della pellicola che si sta guardando, la si era già potuta ammirare in episodi quali ‘Ciak si gira !!’, mentre la pura “detection” giallistica (1) così cara ad Oshii, piegata però alla sua fortissima quanto trasparente ed allora nascente poetica, la si era potuta già vedere in un episodio ricercatissimo della stessa serie a assai sottovalutato intitolato: ‘E poi non rimase nessuno’. Il film, riprende per sommi capi, soprattutto la fine, il plot di quell’intero episodio, o almeno il meccanismo che ne stava alla base. In quell’episodio “maledetto”, uno dei più lugubri (e divertiti) dell’intera serie, una rilettura molto libera del classico giallo di Agata Christie: ‘Dieci Piccoli Indiani’ , solo nel finale si riusciva a capire chi era l’ di tutti i compagni (compresa Lamù!) di Ataru Moroboshi, prigionieri in un’isola deserta ed inquietante, sulle note di una filastrocca lugubre ed assassina (La morte del Gallo Robin).

Uno per uno, i compagni di Ataru vengono brutalmente uccisi, quando anche Lamù viene uccisa per ultima, Ataru si trova da solo, con la sua angoscia e la paura più grande che lo attanagliano, ma proprio sopra le scale di una antica torre dell’isola, si cela la risposta a tutti i suoi quesiti, Ataru si avvicina alla figura che dice di essere l’assassino, sembra aspettare solo lui, la fa voltare, e sorpresa! La figura ha la sua stessa faccia. La spiegazione razionale c’è, ovviamente è uno scherzo di pessimo gusto dei compagni di di Moroboshi, per fargliela pagare del comportamento vomitevole che tiene sempre con tutti, ma non è questo il punto, la regia, la storia fanno “passare” ben altro: il doppio da sé, l’inutilità di fuggire da sé stessi e dal proprio destino, la messa in scena del palcoscenico interiore (2), ma soprattutto quella sana, filosofica goliardia che era propria ad Oshii, direi, fino a questo film. E Talking Head, fa tesoro di questo soggetto, di queste impressioni, e sposta tutto in uno studio di produzione di anime, fatiscente, sperduto, nel bel mezzo del nulla, davanti ad una stradina di campagna, nebbiosa e silente.

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Ormai la data del debutto del più atteso film d’animazione dell’anno è alle porte, il titolo della produzione è Talking Head. Ma un problema attanaglia la produzione, il regista è scomparso misteriosamente, ed il film non è nemmeno iniziato. Lo studio di produzione, ormai disperato, ingaggia un ” Direttore Tecnico Migrante” , figura leggendaria, colui che per suo stesso lavoro deve non solo rimpiazzare un regista di una produzione, ma ,soprattutto, riuscire ad entrare nella sua poetica, intuire la sua  “Vera Visione” (come viene chiamata nella pellicola), e successivamente ricrearla. Inoltre, dovrà guidare uno staff molto particolare e bizzarro nella creazione del film. Ma, appena la produzione parte al galoppo, i membri dello staff, uno ad uno cominciano a morire. Il regista “migrante” dovrà, ora, oltre essere direttore della produzione dell’anime maledetto, diventare improvvisato detective alla ricerca disperata di indizi, e soprattutto del misterioso assassino. Alla sceneggiatura abbiamo Mamoru Oshii in persona, una sceneggiatura verbosa, con persone che parlano, molto. D’altra parte è un film di Oshii o no?

Ma la differenza tra una supposta ‘verbosità noiosa’ e quella inquietante e “oltremondana” di Oshii, stà tutta nella sequenza del dialogo della ‘testa parlante’ appunto, cioè la scena in cui il regista, ormai diventato detective, conduce un’interrogatorio sui generis allo sceneggiatore del film, che intanto si stacca la testa mentre parla. L’attore che interpreta lo sceneggiatore nient’altro è che Kazunori Ito in persona, sceneggiatore fiduciario di Oshii nella realtà (al quale si deve il lavoro fatto su ‘E poi non rimase nessuno’…), la sua presenza nel film crea un corto circuito tra realtà e finzione niente male.

Nel film, lo sceneggiatore usa tecniche che a suo tempo usò Melies stesso per i trucchi magici ed i suoi spettacoli: Doppi fondi di sedie, protesi finte, ed altro ancora. Intanto, così facendo, lo sceneggiatore, parla al regista della metamorfosi accaduta al cinema nel primo centenario dalla nascita, la meraviglia non riesce più ad essere presente in tali arcaici trucchi, come per i primi sprovveduti e fortunati visionanti, ora ci vuole ben altro, l’ago della bilancia è virato verso la storia, e non più verso l’azione, ci vogliono “storie” complesse, affascinanti, sinuose, dei veri e propri rompicapo ad enigma. Intendiamoci, qui siamo nei paraggi dove, più di un decennio dopo, arriveranno anche i fratelli Nolan, con il loro bellissimo, seminale (e misconosciuto) The Prestige.
Ma le di Talking Head sul linguaggio cinema non si fermano qui. Vanno ben oltre.

Trattano l’animazione, diventano “animate” esse stesse, e questo è (forse) naturale per un film live fatto da un regista di animazione giapponese. Parlano dell’animazione come territorio “Oltremondano”, oltre il cinema, oltre l’iconicità comunemente intesa, un territorio della comunicazione molto esteso, ed in massima parte ancora vergine. Qui siamo, invece, dalle parti delle elucubrazioni travolgenti sull’animazione fatte da Hideaki Anno nella sua serie cult Neon Genesis Evangelion (1995) potute ammirare nell’episodio sperimentale/avanguardistico: ‘ Mortale e poi?’ in cui uno Shinji Ikari tra la vita e la morte si percepisce come una linea disegnata che si muove a seconda dell’intonazione della voce, sintesi estrema mai così precisa e geniale del funzionamento del linguaggio ‘animazione’.

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Il film è costruito (in parte) come un set “virtuale”, invece dei camerini o di stanze vi sono linee bianche che “rappresentano” le mura, e gli infissi delle porte fanno la loro solitaria figura, con il “nulla” rappresentante un muro. Si dovrà aspettare una decina di anni dopo perché questa trovata scenica abbia un riscontro di critica “mainstream”, e questo avverrà per il magnifico film del geniale Lars Von Trier: Dogville. La recitazione degli attori è molto sopra le righe, sembrano quasi dei pupazzi, delle marionette, perché no, dei tratti disegnati nervosamente sulla pellicola, l’andamento, l’incedere meccanico della maggior parte di loro, non è altro che un desiderio visivo di animazione trasferito nella pesante/insostenibile “realtà” del film live. Il regista “Migrante” è interpretato da uno Shigeru Chiba mai così divertito, l’attore feticcio di Oshii (con lui come protagonista il regista ha girato gli altri due suoi film live degli anni ’90: Red Spectacles ‘Akai Megane’, 1987 e Kerberos Panzer Kops, 1993) era già doppiatore storico del personaggio dell’occhialuto Megane della serie Lamù.

L’andamento dinoccolato, goliardicamente folle dell’attore dà una carica eversiva e sinistra al tutto, come una marionetta sfuggita al suo padrone, come uno schizzo che ha preso vita. Chiba anche la parte dedicata ai suoni dell’intera pellicola, occupandosi della direzione del suono, grazie a lui vi sono molte dissonanze, disarmonie, inquietanti ed inquiete, delle perle di rudi e poco convenzionali invenzioni sonore.

Le musiche di Kenji Kawai, ormai, già all’epoca, compositore ufficiale di Oshii (Patlabor, Kerberos Panzer cops, Lamù) sono fatate e ammantano l’intera storia in un sinistro e lugubre fioca. Vi è anche una parte “animata”, o meglio, un anime vero e proprio, sono un paio di minuti all’inizio del film, nella storia di Talking Head, quello dovrebbe essere il trailer del film d’animazione più atteso dell’anno.

Il character design è affidato al tratto fine, curatissimo e fresco di Haruiko Mikimoto, già visto all’opera (soprattutto) nella lunghissima saga di Macross. L’animazione viene prodotta dall’allora “nuovo” studio Production I.G (nato nel 1987), di cui Oshii diventerà Un via vai di livelli di realtà, vari gradi di lettura, ed una passione senza fine verso il “fare” animazione, il meccanismo degli studi produttivi, il lavoro dello staff dall’intercalatore sino al colorista. E’ inquietante e nello stesso tempo capitale sentire le due coloriste (due ragazzine gemelle alte e vestite come piccoli folletti, citazione ad un vecchio kaiju ega/film di mostri di Mothra) mentre parlano all’unisono con il regista (Chiba) dei vari usi dei colori nell’animazione, da quello più realistico a quello più “acido” che distrugge la sospensione dell’incredulità spettatoriale. Un film troppo “avanti” sui tempi, almeno di una ventina di anni. Al Fantafestival di Roma, in quegli anni, il titolo viene presentato insieme ad un altro sconosciuto regista che darà molto al cinema, Tsukamoto Shinya.

(1)Davide Tarò ,’La messa in scena e la regola del “gioco”Atto primo: La Detective Story, pag 67 e seguenti, in Oshii Mamoru Le affinità sotto il guscio, Morpheo Edizioni, Rottofreno (Pc), 2006
(2)Davide Tarò, ‘ La messa in scena, Atto Terzo: Il palcoscenico Interiore, pag 77 e seguenti, in opera già citata.

fmcinema.it

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