SPACKED OUT (SubENG)

Titolo originale: Spacked Out
Paese di produzione: Hong Kong
Anno: 2000
Durata: 93 minuti
Genere: Drammatico
Regia: Lawrence Ah Mon

Sinossi
Quattro ragazze adolescenti — Cookie, Sissy, Banana e Bean Curd — vivono a Tuen Mun, una delle nuove città dormitorio della periferia di Hong Kong, isolate e poco curate. La più giovane, Cookie, scopre di essere forse incinta, mentre le altre affrontano realtà fatte di droga, sesso, abbandono famigliare, relazioni complicate. Senza molti punti di riferimento adulti, le loro giornate si consumano nei centri commerciali malfamati, nei karaoke, tra telefonate notturne e fughe clandestine: in un mondo che sembra aver dimenticato di prendersi cura di loro, le ragazze cercano di sopravvivere, di fare gruppo, e di trovare un senso alla loro vita spezzata.

Recensione
Spacked Out è un urlo silenzioso di gioventù abbandonata, un ritratto senza abbellimenti della vita ai margini di Hong Kong, dove quattro ragazzine sembrano non avere guida né scopo se non l’una nell’altra. Lawrence Ah Mon filma con uno sguardo quasi documentaristico, usando attrici giovani e non professioniste per restituire l’autenticità grezza di un’adolescenza consumata tra noia, ribellione e dolore. La città di Tuen Mun diventa un personaggio a sé: un’architettura grigia, fatta di palazzoni, centri commerciali decadenti, spazi vuoti che agiscono come specchi dell’anima di queste ragazze. In quei luoghi, il tempo sembra rallentare e ogni gesto quotidiano assume una densità esistenziale — anche solo una telefonata, una lite, un momento di solitudine.

Cookie, giovane e fragile, porta dentro di sé un segreto che fa tremare il suo mondo: la possibilità di essere incinta. Anche se il suo ragazzo è sparito, lei non si arrende, cerca risposte, cerca aiuto, ma si scontra con adulti assenti o crudeli. Le sue amiche non sono angeli salvatori: Sissy ed Bean Curd vivono relazioni complicate, Banana usa il telefonino per guadagnare soldi, e tutte e quattro si muovono su una linea sottile tra solidarietà e autodistruzione. Le loro azioni — piccoli furti, fughe, episodi di droga — non sembrano scelte eroiche ma gesti di sopravvivenza, come se non avessero altra alternativa per affermare la propria esistenza.

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La regia alterna momenti di realismo schietto a sequenze oniriche: quando la disperazione diventa troppa, il film sfiora il surreale, la telecamera vacilla, la realtà sembra deformarsi. In una scena particolarmente drammatica, Cookie immagina l’aborto come un rituale trasfigurato: la clinica diventa un labirinto – simbolo dell’incertezza, della paura e della mancanza di controllo sulla propria vita. Questo uso simbolico non è gratuito, ma riflette lo stato interiore di adolescenti che vogliono essere ascoltate, ma non hanno voce.

La scelta di attori non professionisti è una dichiarazione forte: Ah Mon non vuole filtri tra lo spettatore e la realtà cruenta che racconta. Le conversazioni tra le ragazze, riprese spesso con camera a mano, sono ruvide, sincere, improvvisate. Non ci sono momenti patinati: ogni risata, ogni lacrima, ogni litigio sembra vero. E questo realismo diventa anche una lente sociologica: il regista non fa moralismi, ma mostra un microcosmo dimenticato da molti, un’umanità ferita che sfugge ai grandi discorsi politici.

Ma nonostante la durezza della vita, c’è in questo film un filo di solidarietà che brilla come una fiamma fragile. Le quattro ragazze, pur litigando e odiandosi a volte, si tengono insieme. La loro amicizia diventa una forma di resistenza: non hanno altra famiglia, ma si scelgono a vicenda. È una resistenza minimale, senza retorica, ma potentissima: il vero potere di Spacked Out sta nel mostrare che anche chi è trascurato può creare mondi, legami, significati.

Spacked Out non è una favola, non è una redenzione facile, ma è un atto di testimonianza. È il racconto delle voci che tremano nella periferia, delle ragazze che non vengono educate a sognare ma a sopravvivere. E, in quel racconto, c’è una forza straziante: la consapevolezza che crescere può significare cadere, ma che non sempre si rimane giù.

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By Anam

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