
Titolo originale: Shakespeare’s Shtstorm
Titolo internazionale: Shakespeare’s Shtstorm
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 2020
Durata: 94 minuti
Genere: Satira, Commedia, Horror, Grottesco
Regia: Lloyd Kaufman
Sinossi:
In questa rivisitazione delirante e scatologica de La Tempesta di William Shakespeare, il veterano della Troma Lloyd Kaufman trasforma il dramma elisabettiano in una sarabanda di caos, corpi nudi, esplosioni di viscere e furia politica. Il “Prospero” di questa versione è un geniale scienziato caduto in disgrazia, esiliato su una nave in mezzo al mare, che scatena una “tempesta di merda” per vendicarsi dei potenti responsabili della sua rovina. L’uragano non è solo fisico, ma simbolico: travolge social media, corporate greed, ipocrisie morali e l’intera cultura dell’indignazione. In un mondo in cui tutto è spettacolo e la pornografia del potere domina ogni sfera, Kaufman fa a pezzi i totem della modernità con la stessa energia con cui Shakespeare smontava i dogmi del suo tempo.
Recensione:
Con Shakespeare’s Shtstorm*, Lloyd Kaufman – il patriarca del cinema indipendente più anarchico e volgare d’America – firma forse la sua opera definitiva, il testamento artistico e filosofico della Troma. È un film che non chiede di essere amato, ma temuto: un assalto frontale alla sensibilità contemporanea, alla correttezza politica e alla sterilità culturale dell’era dei social network. In un’epoca dove anche la ribellione è diventata marketing, Kaufman risponde con la sola arma che gli resta: il disgusto come forma d’arte, la provocazione come linguaggio di verità.
La pellicola è un pastiche orgiastico di generi: commedia, musical, horror, tragedia, parodia, pornografia intellettuale e satira politica si fondono in un magma incandescente. Il regista, interpretando egli stesso il ruolo di Prospero, si erge a demiurgo di un mondo impazzito, dove il “politicamente corretto” è solo un’altra forma di potere. Le sue vittime non sono i potenti in senso classico, ma i simboli della nostra complicità quotidiana: l’ipocrisia dei progressisti di facciata, il moralismo online, le multinazionali travestite da benefattori, la trasformazione dell’indignazione in un intrattenimento.
Kaufman gioca con Shakespeare come un punk con una chitarra rotta: non lo cita, lo strappa, lo mastica e lo vomita in una forma nuova, volgare e luminosa, dove i versi del Bardo vengono risucchiati in un gorgo di rutti, deiezioni e monologhi tragici sull’avidità e la perdita di empatia. Dietro le tonnellate di “shit” del titolo, c’è un senso di tragedia autentica: quella di un artista che sa di essere diventato un relitto, in un mondo che ha sostituito la libertà con l’algoritmo.
Visivamente, Shakespeare’s Shtstorm* è un incubo technicolor: la fotografia saturata, gli effetti volutamente amatoriali e la recitazione sopra le righe creano un’estetica che è, paradossalmente, purissima nel suo caos. È il linguaggio tromesco portato al suo apice – un cinema di rifiuti che si eleva a dichiarazione poetica. Non esiste una linea narrativa tradizionale: esiste solo un ritmo, un flusso di immagini e di urla, una danza febbrile di carne e fango.
Eppure, sotto lo scherzo, c’è un’intelligenza feroce. Kaufman parla della nostra epoca con lucidità: denuncia la fragilità delle idee, l’ossessione per la pulizia morale, il conformismo travestito da progresso. Prospero, il suo alter ego, non è solo un pazzo in cerca di vendetta: è il simbolo del vecchio artista che rifiuta di piegarsi, che risponde all’idiozia collettiva con il gesto più sincero e disperato che gli resta – sputare addosso al mondo, anche a costo di annegare nella propria bile.
Se The Tempest era una riflessione sul perdono e sulla fine della magia, Shakespeare’s Shtstorm* ne è la versione apocalittica: la magia è morta, e il mondo si regge solo sul rumore. Ma Kaufman, nella sua rabbia, trova ancora una forma di bellezza: la libertà di dire tutto, di non chiedere permesso a nessuno, di trasformare l’immondizia in linguaggio. È un film che si odia e si ama con la stessa intensità, come un atto di resistenza disperata contro la mediocrità universale.
Shakespeare’s Shtstorm* è dunque una tempesta nel senso più puro del termine: non un evento climatico, ma una furia interiore. È l’urlo di un outsider che non ha mai smesso di credere nel potere del cinema come arma, come atto politico e poetico. Dietro la sua oscenità c’è una verità che pochi osano guardare: viviamo in una società che ripudia la sporcizia solo perché non sa più riconoscere la purezza. E in quella tempesta di merda, Kaufman, come un vecchio alchimista folle, trova l’unica forma possibile di catarsi.
