PERE UBU
by order of mayor pawlicki
Non che mi piaccia parlare d’attualità… anzi.
Ma chi avrebbe mai detto che il PUNK sarebbe ritornato utile?
Col senno (o quantomeno il distacco) di “poi”, possiamo dire che è stato socialmente sintomatico ai suoi tempi. Ora non so se sia sintomatico socialmente, ma mi viene da augurarmelo anche per poter trovare compagnia, perché almeno per me lo è, sintomatico. Lo sento forte e chiaro in quell’area fondamentale che parte dal cuore e arriva al buco del culo.
Quindi “up patriots to arms” again, e ubu re!
FRA
(https://www.thenewnoise.it/):
Confesso di non essere un grande amante dei dischi live: credo che raramente riescano a catturare la reale energia sul palco e le sensazioni che si provano nell’essere lì in quel preciso momento. Ci sono poche eccezioni, e questo album è una di quelle.
Dopo 20 Years In A Montana Missile Silo e The Long Goodbye, gli ottimi ultimi due lavori in studio della band di Cleveland, la Cherry Red pubblica in versione doppio vinile e doppio cd questo By Order Of Mayor Pawlicki (Live in Jarocin) che è la testimonianza del travagliato concerto svoltosi nella città polacca di Jarocin il 15 luglio 2017. Durante il soundcheck sorsero alcuni problemi con i fonici e Thomas, non dotato, come ben risaputo, di un carattere facile, non ci pensò su due volte e decise che non avrebbe suonato; solo l’intervento del tour manager riuscì a risolvere la situazione e a far ritornare il vecchio David sui suoi passi. La notizia, si dice, arrivò anche alle orecchie del sindaco della città, che telefonò agli organizzatori per raccomandarsi che tutto andasse per il meglio e che la band fosse tranquilla e soddisfatta. Da qui il titolo del disco: “Per ordine del sindaco Pawlicki”.
Veniamo alla musica. I pezzi in scaletta appartengono al periodo 1975-1982. Sono quindi presenti tutti i classici (mancano all’appello “Non-Alignment Pact” e “30 Seconds Over Tokyo”) ma non vi è alcuna traccia di revival fine a sé stesso: i brani suonano freschi, la band li reinterpreta con grande energia e il lavoro dei musicisti è notevole, in special modo quello di Robert Wheeler (ai synth e al theremin) e di Michele Temple al basso. Su tutti, ovviamente, si staglia David Thomas che, nonostante le precarie condizioni di salute, è sempre capace di interpretazioni coinvolgenti, immancabilmente intervallate da siparietti vari, aneddoti e frecciatine ai fonici e al pubblico.
Difficile segnalare le performance migliori: si parte col botto con una cupa e feroce “Heart Of Darkness”, ci sono le frenesie di “Petrified”, la nevrotica “Navvy”, giusto per citarne qualcuna, ma il livello è sempre molto alto.