Titolo originale: Onibaba
Nazionalità: Giappone
Anno: 1964
Genere: Drammatico, Horror
Durata: 103 min.
Regia: Kaneto Shindô
Nel Giappone medioevale, due donne – suocera e nuora – sopravvivono alla guerra in corso uccidendo soldati e samurai feriti e depredandone i cadaveri. Quando però la più giovane intreccia una relazione con il disertore Hachi, la donna più anziana inizia a nutrire una forte gelosia verso la nuora, fino alle estreme conseguenze.
Ispirandosi a un antico racconto morale buddista ascoltato nell’infanzia, Kaneto Shindō dirige una pellicola dai toni duri e disincantati che, attraverso una rappresentazione del sesso e della violenza inusitata per l’epoca, offre uno spietato ritratto della condizione umana in tempo di guerra. Ambientato in uno scenario minaccioso e claustrofobico – un canneto bruciato dal sole e spazzato dal vento in cui già sembra essersi realizzato «l’inferno di furia e fuoco», annunciato a un certo punto dalla vecchia protagonista – il film affronta la questione dell’incessante lotta umana per la sopravvivenza, tema cardine del cinema del regista e già alla base del celebre L’isola nuda (1960). Lasciata rigorosamente fuori campo, non è la guerra in sé a interessare all’autore, bensì i suoi effetti sui più deboli, costretti a farsi carnefici e a rinunciare alla propria umanità per non soccombere. La denuncia politica si intreccia così con la disamina antropologica – non senza sconfinare, prima della fine, nel soprannaturale più puro – in uno dei film più pessimisti del regista che, nonostante la riflessione morale di cui si fa carico, non esprime giudizi ma si limita a registrare con sensuale dinamismo la trasformazione dell’uomo in bestia, in nome di un primordiale istinto di conservazione. Sostenuto dalle musiche incalzanti di Hikaru Hayashi (un’insolita combinazione di tamburi e free jazz) e splendidamente fotografato da Kiyomi Kuroda in un bianco e nero accecante ed espressionista, il film regala ancora oggi momenti di puro terrore che entrano di diritto nella storia del cinema horror degli anni Sessanta, e non solo.
Recensione: longtake.it