HELI [SubITA]

Titolo originale: Heli
Paese di produzione: Messico
Anno: 2013
Durata: 105 min.
Genere: Drammatico
Regia: Amat Escalante

Tira una strana arietta, in Heli. E non solo perché racconta una plumbea e terribile, ma anche perché l’opera stessa prende pieghe inaspettate, cambia pagina, ritmo e “genere” come le pare. Il primo film del concorso ufficiale visto dalla qui al Festival di Cannes 2013 è uno di quei film d’autore “tosti” e provocatori, destinati a far discutere più per qualche scena in particolare che per meriti o demeriti dello stesso.

Si sapeva poco della trama dell’opera fino a questa prima proiezione: giravano addirittura due sinossi completamente diverse. Alla fine c’azzeccavano più o meno entrambe. La prima, che vede per protagonista Estela, una ragazzina di 12 anni che s’invaghisce di un giovane cadetto, col quale vuole sposarsi, è vera. La seconda, che vede Heli cercare suo padre sparito nel nulla, non è proprio corretta, e si tratta di una delle sottotrame della pellicola.

Heli è in tutto e per tutto il protagonista del film. Operaio in una ditta di costruzione di automobili, vive con il padre, la compagna, il figlio da poco e la sorella, Estela. Il fidanzato della ragazzina, Beto, ha a che fare col traffico di droga, ed ha bisogno di nascondere dei sacchi di coca sul tetto della casa di Estela. Un giorno fa irruzione in casa loro una squadra di militari…

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Non vale la pena raccontare più nulla, e abbiamo tralasciato volutamente molti dettagli della raccontata fino a questo punto. Perché il regista Amat Escalante si prende molta libertà in fase di sceneggiatura: mescolando, come si diceva prima, le carte sia dal punto di vista del ritmo che addirittura del “genere”. In questo racconto “antropologico” sulla messicana di Guanajuato, una famiglia perde la poca innocenza che le rimane in un vortice di e che può a tratti lasciare davvero a aperta.

Se nella prima parte Heli si mostra come un tipico film d’autore, con il quale il suo regista parte volutamente con una scena brutale (un uomo – già morto? – viene impiccato da un ponte e lasciato lì a penzoloni) e continua con squarci quasi da commedia quirky, poi diventa un incubo. Impossibile non pensare a Kinatay di Brillante Mendoza: non per lo stile, qui decisamente più levigato e pulito, ma per l’arietta di cui vi parlavamo in apertura. Ovviamente c’è di mezzo un rapimento e ci sono delle torture: in una scena che ha fatto urlare la in sala, i rapitori danno ai genitali di un uomo…

Ha uno sguardo distaccato, Escalante, noto da una nicchia di cinefili per i suoi tosti lavori precedenti. Ed è per questo che il suo film lavora a corrente alternata: alcune volte colpisce dritto allo stomaco, altre lascia intravedere un certo compiacimento. Come nel momento in cui, ad una detective della polizia, fa tirare fuori il seno di fronte al protagonista con scopi ovviamente non pulitissimi. Il regista è bravo, certo, anche se non riesce ad evitare del tutto qualche “omaggio” al suo amico e produttore Carlos Reygadas (quei cani che fanno una brutta fine…).

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Heli è impreziosito nel reparto tecnico da un’ottima fotografia (curata da Lorenzo Hagerman), che ricorda ad un certo punto quella usata per C’era una volta in Anatolia: non a caso uno dei “cambi” di trama ricorda proprio il film di Ceylan. Ma volendo spiazzare continuamente il pubblico, con quegli slittamenti di genere e ritmo di cui vi parlavamo prima, rischia di annoiare i poco predisposti e di far scattare un campanello d’allarme ai più maliziosi.

Anche il finale, dove tutto sembra tornato alla normalità, in realtà lascia intendere che c’è un’eredità che la famiglia si porterà sempre addosso. La vita è cambiata per sempre: ma sembra tutto troppo calcolato a tavolino per scuotere davvero il cuore e la mente. Forse perché Escalante è bravo e sa di esserlo, perciò lascia la sensazione che il film, pur brutale, sia ben tenuto per le briglie e sia controllatissimo in tutto e per tutto.
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