
Titolo originale: Рибена кост (Ribena Kost – Fishbone)
Paese di produzione: Bulgaria, Romania
Anno: 2021
Durata: 107 min
Genere: Drammatico, Grottesco, Fantastico, Visionario
Regia: Dragomir Sholev
Una balena morta viene trovata sulla riva. Ma nessuno sa cosa farne. Non è chiaro se sia competenza del comune, dei vigili del fuoco, della polizia o dell’esercito. Così inizia una catena grottesca e kafkiana di rimpalli burocratici, mentre attorno al cadavere dell’animale si muovono nove storie parallele, ognuna riflesso della paralisi morale e spirituale dell’uomo contemporaneo.
Una balena morta sulla riva. Un simbolo troppo grande per essere ignorato. Troppo scomodo per essere gestito.
Ecco da dove comincia Ribena Kost, e già da questa immagine iniziale si capisce che non si tratta di un film: si tratta di una profezia. O forse di una radiografia spietata dell’anima collettiva dell’Est Europa (e non solo), dove l’assurdo non è un incidente, ma la regola silenziosa che tutti fingono di non vedere.
Dragomir Sholev realizza un’opera che sembra scritta da un Kafka reincarnato dopo aver binge-watchato Black Mirror e letto Cioran sotto psicotropi leggeri. La balena – sacra, muta, morta – diventa il cuore nero intorno al quale ruotano nove microcosmi di degrado morale, inettitudine e smarrimento. E nel suo ventre non ci sono profeti, ma solo domande.
Chi deve occuparsene? Chi ha la giurisdizione sulla morte dell’imponderabile?
Le autorità si passano la responsabilità come fosse una bomba emotiva, ognuno chiuso nel proprio ruolo, tutti prigionieri di un’apatia che puzza più della carne in decomposizione. Nessuno osa farsi carico del senso.
Ogni episodio di Ribena Kost è una stanza dell’inferno, ma non un inferno biblico: piuttosto quello grigio e fluorescente degli uffici pubblici, dei neon sfarfallanti, dei telefoni che squillano senza che nessuno risponda. C’è l’indifferenza come sistema operativo, la paura della decisione, la fuga dal pensiero critico. L’uomo si è estinto in silenzio, sostituito da avatar funzionali, automi burocratici in attesa di direttive che non arriveranno mai.
Sholev non spiega, non guida. Ti lascia lì, ad annusare la puzza del non-senso. La regia è scarna, chirurgica, con un occhio da entomologo spirituale. Le immagini sono dense di simbolismo ma mai retoriche: è un’esposizione di cadaveri morali che ancora respirano, fingendo di vivere.
C’è un momento, verso metà film, in cui un personaggio si ferma a contemplare il mare, senza dire nulla. È lì che il film respira, ed è lì che ti colpisce: il mondo è una carcassa divina e nessuno ha il coraggio di riconoscerlo.
Questo è cinema gnostico, quello vero. Quello che scava nel reale per svelare che la realtà è solo una finzione ben amministrata. C’è qualcosa dei Maestri Invisibili in quest’opera: il senso esiste, ma si è nascosto da tempo, e forse ci osserva ridere davanti alla carcassa di un dio-mammifero arenato.
Ribena Kost è una parabola su ciò che accade quando l’umanità perde il contatto con la responsabilità sacra dell’esistere. Non c’è spazio per l’eroismo. Non ci sono redenzioni. Solo una lunga catena di “non è compito mio”. E la balena, silenziosa, marcisce nel tempo.
Un’opera feroce, poetica, simbolica. Un film che ti guarda mentre lo guardi. E ti chiede: “Tu cosa faresti davanti al cadavere del sacro?”
La risposta, ovviamente, è già dentro la tua vigliaccheria.
