
Titolo originale: The Other Side of the Underneath
Paese di produzione: UK
Anno: 1972
Durata: 142 min.
Genere: Drammatico, Visionario
Regia: Jane Arden
Una giovane donna viene internata in un ospedale psichiatrico per schizofrenia, ma il suo viaggio non è medico: è iniziatico. In un paesaggio mentale fatto di simboli, riti pagani, archetipi e visioni disturbanti, attraversa il lato oscuro dell’inconscio collettivo, confrontandosi con la frammentazione dell’identità, il potere primordiale del femminile e il confine sottile tra follia e liberazione spirituale.
C’è un cinema che non è fatto per gli occhi. È un rituale oscuro per lo stomaco, per il ventre, per le viscere del sogno e della malattia. “The Other Side of the Underneath” non è un film. È un esorcismo. Un grido partorito da una psiche lacerata, cucito con ago e filo da una strega vera: Jane Arden. Un nome che la Storia ufficiale ha sepolto sotto cumuli di silenzio — come sempre fa con le donne che mordono.
Arden non dirige: evoca. Non racconta: trasmette. E quello che trasmette è l’eco di una civiltà che ha preso la schizofrenia femminile e l’ha chiamata ‘disturbo’, invece di riconoscerla come linguaggio sacro. Il film si apre in un ospedale psichiatrico, ma non aspettatevi camicie di forza o dialoghi clinici: qui si varca il confine tra i mondi, come nelle visioni di Castaneda o nelle pagine più sulfuree di Antonin Artaud.
Ogni sequenza è un’archeologia dell’anima. La protagonista — l’Io frantumato che tenta di ritrovare se stesso — attraversa un inferno simbolico, fatto di donne urlanti, riti pagani, nudità sacrificali, fuochi, sangue, e fiori secchi che sembrano occhi. Ogni scena è un atto terapeutico brutale, un viaggio nell’ombra dove il Logos implode e lascia spazio al linguaggio dell’Inconscio collettivo, freudiano e junghiano insieme, ma anche magico e profetico.
Il film è girato in 16mm con una carnalità sporca, quasi punk, anni prima che il punk sapesse di esistere. Ma non c’è stile: c’è solo necessità. Arden non voleva fare arte. Voleva sopravvivere. E ce lo getta addosso come un animale ferito, senza editing, senza premura, senza concessioni. La messa in scena è spesso improvvisata, come in un rituale sciamanico, dove la realtà viene smembrata in tempo reale e offerta in sacrificio a uno spettatore che, se è pronto, ne esce trasformato. Se non lo è… impazzisce.
Questo è il film che ogni terapeuta dovrebbe vedere, ma nessuno lo cita. È l’incubo archetipico che ci ricorda che la psiche femminile non è “debolezza”, ma un potere terrificante che la cultura patriarcale ha dovuto medicalizzare per non esserne travolta. È l’altra faccia del sogno americano: la strega che brucia, ma mentre brucia ride, e quel riso ti inchioda l’anima.
Arden, come Chris Kraus in I Love Dick, ride del maschio che analizza e diagnostica. Lei vive la crisi, la attraversa, la performa. E ci mostra, con un coraggio che fa paura, che il confine tra follia e illuminazione è solo un velo, un sipario sottile. E che chi osa attraversarlo… non torna mai più uguale.
“The Other Side of the Underneath” non è per tutti. È per chi ha già toccato il fondo. Per chi non cerca intrattenimento ma iniziazione. Per chi ha capito che il vero cinema è una forma di alchimia. Non si guarda: si esperisce. E se lo affronti senza maschere, ti ritrovi a piangere, a urlare, o a rinascere.
….questo non è un consiglio. È un avvertimento.
