Titolo originale: Bi-mong
Paese di produzione: Corea del Sud
Anno: 2008
Durata: 95 min.
Genere: Drammatico, Fantastico, Thriller
Regia: Ki-duk Kim
Jin si sveglia da un incubo convinto di aver assistito ad un incidente di macchina sulla strada che porta alla casa della sua ex-fidanzata e decide di farsi guidare dai ricordi del sogno per raggiungere il luogo dell’incidente. Effettivamente quando vi giunge scopre che un incidente è appena accaduto, proprio con le stesse dinamiche del suo incubo. Segue la polizia a casa del sospetto responsabile e osserva Ran negare qualsiasi responsabilità affermando che è stata a letto tutta la notte, profondamente addormentata. Jim racconta il suo sogno alla polizia e chiede di essere accusato al posto di Ran, ma la polizia lo ritiene uno squilibrato e prosegue con l’arresto di Ran. Jin presto scoprirà che esistono dei legami tra i suoi sogni e le azioni inconsce di Ran.
Antipodi, gli opposti si attraggono e diventano una cosa sola. Candore e violenza sembrano scissi, ma il sogno, nella sua dimensione più candida e simbiontica, è anche il sonno della ragione. Il sentimento è folle e impazzito, non bada alla morale, condivide le proprie spinte e pulsioni più inferiori, basse, disumane. L’amore è un atto estremo di voracità, un coltello che perfora la carne delle nostre cosce percorrendo i caratteri sanguinolenti della distanza. Un ‘ti amo’ sussurrato fra delle sbarre, la pazzia è coincidenza di bianco e nero. L’amore non è più di questo mondo, è fugace come una farfalla che sbatte le sue ali per un giorno (o per una notte, il tempo di un sogno) e poi si dissolve, ancora più che candido, l’amore è mancanza di carnalità, sopporta il peso della carnalità, martorizza la carnalità con sadico masochismo.
Kim Ki-Duk ha sempre parlato di amore, volenti o nolenti, l’ha sempre rappresentato, nelle sue capacità purificatrici e catartiche nei contesti più spudorati, nella sua forza invincibile nelle insofferenze quotidiane, nei rapporti familiari nella forma più spietata (da Pietà in poi). La carne è ingombro di un puro sentimento che non può essere estrapolato, che strazia di gelosia (Time) cambiandoci i connotati, le sembianze. Il simbolismo è necessario, è astrazione da noi, rielaborazione che spererebbe la razionalità, ma che ben non si associa con il delirio dell’affezione. Dream è il sogno che cerca di uscire dalle ferite sanguinolente di un cinema che si priva di speranza, il segnale d’allarme ben più estremo di Time, benché apparentemente più ingenuo, ma non per questo superiore. Un ibrido che incrocia l’autoinfliggersi di Seom e il fantasmagorico idealismo di Ferro 3, contestualizzato in un breve percorso cinematografico in cui il regista coreano ha cercato di analizzare il micro-macrocosmo ‘coppia’ (e ancora una volta Time) come esplosione immensa dell’attrazione dei contrari.
L’intero suo cinema è combattimento di contrari, rudezza e spregiudicatezza contro armonia ed equilibrio, rari ma talvolta vincitori. In Ferro 3 non c’era bisogno del sangue né di artifici narrativi per spiegare la simbiosi fra gli esseri umani, ma Ferro 3 era intriso di capacità mito-poietica, il motore per la creazione della vera fantasia sentimentale. Kim è con Dream ancora più che con Time nella sfera razionale, il sogno lo guarda da lontano, o meglio, cerca di viverlo a suon di sangue, sudore e lacrime, di ammanettamenti e di omicidi involontari, perché amore è inglobamento di tutta l’anima dell’altro. Yin e yang, metafore chiare per un cinema disperato, che non vuole scadere e che ancora sa cercare l’armonia del disarmonico, sa ripercorrere tutte le tappe della strada verso il sentimento, che è passata da campi militari, isolamenti marini, prostituzioni urbane e adesso come in Ferro 3 nella mitica e tediosa stasi della quotidianità, in cui l’alternanza fra amore e odio, gioia e sofferenza, può ancora esprimere una sua forza risaputa. Kim scappa dalla freddezza di Pietà prima ancora di esserci arrivato con un Sogno che cade a pezzi, che è intitolato esplicitamente Sogno perché dura un Soffio e si distingue in maniera definitiva dalla realtà. Ma è il Sogno cinematografico, perché il sogno amoroso è fin troppo carnalità, supplizio, gelosia e crudeltà. Prima di Amen, gli ultimi acciacchi di un cinema che ha creato la propria autodissoluzione, un po’ come l’essere umano. Inferiore a molti altri per semplicità e simbologie stiracchiate, Dream sopravvive se contestualizzato, ed è fontamentale quasi solo per il finale, simbiosi massima con la sofferenza della gioia, un ossimoro voluto, contemplato, distruttivo.
EightAndHalf / filmtv.it