Titolo originale: Equus
Nazionalità: USA
Anno: 1977
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 137 min.
Regia: Sidney Lumet
Alan, che durante i fine settimana lavora in una scuderia, una notte acceca senza apparente motivo i sette cavalli che idolatrava. Ricoverato in una clinica, finisce ben presto in cura da uno psicanalista, il dottor Martin Dysart. Per risalire alla malattia mentale del ragazzo, il medico convoca i suoi genitori, il padrone della scuderia e lo stesso Alan. Dopo numerose reticenze, il paziente spiega i motivi del folle gesto, dovuto forse a una delusione d’amore…
Equus è un dramma psicologico tratto dall’omonima opera teatrale di Peter Shaffer, che ne ha sceneggiato anche l’adattamento cinematografico, con protagonisti Richard Burton e Peter Firth (entrambi bravissimi e giustamente candidati all’Oscar), presenti anche nell’edizione teatrale con gli stessi ruoli, rispettivamente, di psicanalista e paziente. L’impianto teatrale della pellicola è palese fin dalle primissime immagini, in cui uno sconvolto Dottor Dysart si rivolge direttamente al pubblico manifestando il suo tormento per poi andare a ritroso e raccontare la disturbante storia del giovane Alan. La maggior parte delle sequenze sono girate in ambienti chiusi e con movimenti di macchina assai limitati, con inquadrature concentrate soprattutto sui volti dei personaggi o sulla loro figura intera rapportata, nel caso di Alan, con i protagonisti veri e propri della pellicola, i cavalli. Non mancano ovviamente immagini oniriche, surreali o angoscianti, in particolare nel corso dello scioccante finale interamente virato in rosso, mentre il montaggio alterna con stacchi decisi il presente, in cui i personaggi raccontano le proprie vicende, e il passato, che viene rivissuto nella mente di tutti i testimoni della terribile vicenda. Il risultato è un film a tratti lento e sonnacchioso, soprattutto nella prima parte, che tuttavia cattura a poco a poco lo spettatore grazie alla potenza del mistero che circonda entrambi i protagonisti e l’ambigua figura di Equus, il Dio servo, il terribile cavallo che tutto vede.
Se infatti la regia, pur essendo curatissima e animata da guizzi a dir poco geniali, soffre inevitabilmente i limiti del legame con un’opera teatrale, la storia raccontata e le immagini mostrate sono invece tuttora disturbanti e non oso immaginare come dev’essere stato accolto Equus negli anni ’70. Al di là delle abbondanti scene di nudo e delle implicazioni sessuali del rapporto tra Alan e i cavalli, quello che mi ha colpito per la modernità è infatti il tormento dello psicanalista che si sente inutile e sconfitto in quanto costretto ad “uccidere” i suoi pazienti, privandoli di ciò che li rende diversi dal resto dell’umanità e costringendoli a conformarsi ad una società normale che, a poco a poco, li trasformerà in adulti apatici, privi di passione, ignoranti e vuoti anche a discapito di tutta la cultura di cui potranno cibarsi. La critica alla fredda società inglese non è neppure tanto velata e non a caso è il cavallo a diventare il fulcro di tutta la storia, quel cavallo che viene valutato più di un ragazzo reso incapace di vivere la vita e la sessualità a causa di una madre bigotta che riconduce tutto a Dio e alla religione e un padre frustrato che non è in grado né di imporsi né di comunicare con moglie e figlio. Alan, per quanto malato e regredito a miti pagani e primitivi è riuscito comunque a costruirsi un mondo in cui fuggire dalla freddezza della famiglia e della società, protetto da un dio animale che allo stesso modo è servo e padrone; lo psicanalista, volontariamente divenuto freddo, prigioniero di un matrimonio insoddisfacente, trincerato dietro sciocche ribellioni borghesi, si ritrova così sopraffatto dall’invidia nei confronti del suo paziente e scopre che, guardando l’abisso, ci si ritrova osservati e giudicati a nostra volta. Equus, il Dio cavallo, non scompare ma diventa padrone del vuoto che governa la vita del Dottor Dysart, chiedendogli di rendere conto per la sua arroganza e per i “delitti” commessi nel corso degli anni. E questa, sinceramente, è un’immagine che mi ha messo più ansia di tutti gli horror visti finora. Provare per credere!
Recensione: bollalmanacco.blogspot.com