DADDY [SubITA]

Titolo originale: Daddy
Paese di produzione: UK, Francia
Anno: 1973
Durata: 90 min.
Genere: Drammatico
Regia: Niki De Saint Phalle, Peter Whitehead

Una sui tentativi di una donna di esorcizzare l’influenza del padre sessualmente prepotente.

Note su Daddy. 1973
Peter Whitehead

Queste note sono state scritte nel giugno 1973.
Il film Daddy è stato presentato in anteprima mondiale al Film Festival nell’aprile 1973. Avevo realizzato il film in totale collaborazione con la scultrice francese Niki de St. Phalle e l’argomento generale del film sembrava ai più riguardare Niki, il suo e, soprattutto, le sue sessuali: la maggior parte delle quali sembrano riguardare un totale rovesciamento del patriarcato così come lo conosciamo. I novanta minuti del film sono stati divisi in tre parti. Nella prima parte, Niki è interpretata da bambina dalla figlia di otto anni di uno degli ex amanti di Niki, Clarice Rivers.

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Nella seconda parte, Niki appare nei panni di se stessa: “Papà, ora sono grande”, mettendo in atto una serie di riti e sessuali davanti al padre “morto”, legato a una sedia a rotelle, al quale Niki rivela le estasi che nel sedurre le sue ragazze, le alquanto discutibili che sopporta mentre viene sedotta dai suoi amanti maschi che soffrono a lungo e numerose di contro gli uomini.

Nella terza parte rivela indirettamente, e ammette, di ancora intrappolata dal suo bisogno di essere innamorata di papà, o del suo ricordo, e accetta che lui sarà per sempre con lei, suo malgrado.
Il film era iniziato come un’esplorazione spensierata della scultura e dei dipinti di Niki. Ma a poco a poco, con l’osservazione, Niki è arrivata a comprendere il significato di molti dei simboli presenti nelle sue opere: enormi e voluttuose “Nanas” danzanti e sexy, come le chiamava lei stessa, bambine e uccelli desiderosi, croci e altari e altri oggetti del cattolicesimo, e il film ci trascinò entrambi in un rituale di psicoanalisi reciproca, mentre ci immergevamo sempre di più in un viaggio attraverso il suo inconscio (torbido all’estremo) e il mio inconscio (ancora più torbido), finché il film divenne molto più una confessione.

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