A BITTERSWEET LIFE [SubITA]

Titolo originale: Dal kom han in-saeng
Nazionalità: Corea del Sud
Anno: 2005
Genere: Drammatico, Grottesco, Noir, Psicologico
Durata: 118 min.
Regia:

Sun-woo è il manager di un lussuoso albergo, ma anche il braccio destro di un boss mafioso, che gli affida un compito piuttosto delicato: sorvegliare la sua giovane e forse infedele amante.

Un giorno di primavera un discepolo guardava alcuni rami che si muovevano al vento. Chiese al suo maestro: “Maestro, sono i rami a muoversi o è il vento?” 

Senza neppure gettare uno sguardo a quello che il suo discepolo stava indicando, il sorrise e disse: “Quello che si muove non sono né i rami né il vento. È il tuo cuore e la tua mente”.

Approccio filosofico al genere, impianto edipico classico, controllo assoluto della materia sentimentale: Kim Jee-Won squaderna un’opera di elegante violenza, di stilizzata ferocia, di romanticismo trattenuto e lancinante. Impassibilità e dramma, astrazione e tragedia, algori noir e fiammate mélo si contendono 120 minuti di fulgida magnificenza visiva. Al suo quarto lungometraggio, l’eclettico cineasta coreano (al suo attivo una commedia macabra, un dramma comico e un horror sottilmente dislocante) si dimostra capace di frequentare superbamente anche il noir, disegnando la parabola autodistruttiva di Sun-woo (Byung-hun Lee) con una potenza figurativa e una padronanza stilistica semplicemente stupefacenti.
Il modello di riferimento è, inequivocabilmente, Le Samouraï (1967) di Jean-Pierre Melville: l’autonomia dell’individuo nella sofferenza, la come teatro della e la solenne dello scontro con la sono puri precipitati melvilliani. Ancora: lo splendore ghiacciato della messa in scena è palesemente derivativo, il protagonista un vero e proprio clone di Delon – di cui riproduce perfino la scriminatura – e le sequenze ambientate ne la dolce , il bar sopraelevato dell’albergo di lusso, richiamano per illuminazione e grammatica visiva quelle del Martey’s nel film di Melville.
Non tutto, tuttavia, gira alla perfezione: Kim Jee-Won non si limita a riproporre, tirandola a lucido, la lezione del maestro, ma la ammorbidisce in sede di sceneggiatura, smarrendone sensibilmente la durezza fenomenologica e la quintessenziale asciuttezza. A intaccare la granitica struttura melvilliana sono soprattutto la caratterizzazione caricaturale di Moon-suk (Roe-ha Kim), l’inserimento di parentesi sguaiatamente grottesche e lo stridente didascalismo di alcuni passaggi narrativi. Ma a queste fastidiose cadute di tono corrispondono, sul versante opposto, una gestione simbolica dello spazio di supremo rigore, una sicurezza inarrivabile nell’orchestrazione delle sequenze d’azione e una sontuosità visiva così imponente da rimanere letteralmente pietrificati.
Le Samouraï
 rivive, in versione cool.

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PS- Questa recensione è stata quasi completamente invalidata dalle dichiarazioni dello stesso Kim Jee-woon che, rispondendo ad una mia domanda nella conferenza stampa del Korea Film Festival, ha affermato di aver visto Le Samouraï soltanto dopo aver finito A Bittersweet Life. Suo modello di riferimento è stato invece Un flic ( sulla , 1972), l’ultimo e sottovalutatissimo film di Melville. Con sorridente candore, Kim ha anche aggiunto che se avesse visto Le Samouraï prima di girare A Bittersweet Life, avrebbe fatto un film migliore. Un grande. Per un malinteso senso dell’onestà intellettuale ho deciso di lasciare la recensione inalterata, come esempio aureo di sovrainterpretazione.

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Recensione: spietati.it

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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