
Titolo originale: Tenkôsei (School in the Crosshairs)
Paese di produzione: Giappone
Anno: 1981
Durata: 100 min
Genere: Fantascienza, Drammatico, Azione, Visionario
Regia: Nobuhiko Ôbayashi
Sinossi:
Yuka, una studentessa modello con poteri psichici latenti, vive in un Giappone scolastico dove la competizione e il controllo sociale hanno sostituito la libertà di pensiero. Quando un gruppo di studenti inizia a trasformare la scuola in un microcosmo totalitario, Yuka diventa l’unica in grado di opporsi, guidata da una forza misteriosa che trascende la realtà. Con l’aiuto del suo amico Koji, tenta di difendere l’umanità e la bellezza contro una nuova forma di tirannia mentale. Ma in School in the Crosshairs, la battaglia tra bene e male si gioca nei corridoi della mente, tra l’amore adolescenziale e la manipolazione di massa.
Recensione:
Nobuhiko Ôbayashi non ha mai creduto nel realismo. La sua arte è sempre stata un atto di ribellione alla linearità, un sabotaggio poetico della logica cinematografica. School in the Crosshairs è uno dei suoi film più rappresentativi in questo senso: un delirio cromatico dove l’innocenza diventa resistenza e la scuola si trasforma in un campo di battaglia psichico.
Qui Ôbayashi sembra giocare con il concetto stesso di “formazione”: l’educazione non è più un percorso verso la conoscenza, ma un rituale di addestramento, un esperimento sociale in cui gli studenti sono cavie del potere. Eppure, nel suo caos visivo fatto di tinte acide, ralenti, transizioni impossibili e musiche che oscillano tra l’idillio e l’incubo, pulsa un romanticismo disperato.
Yuka non è solo una ragazza dotata di poteri paranormali, ma il simbolo dell’ultima purezza, quella che si rifiuta di cedere alla collettività autoritaria. Quando usa la mente per difendersi, sembra farlo contro tutto ciò che il Giappone del dopoguerra ha cercato di diventare: una società omogenea, efficiente, senza devianze. La scuola, con le sue regole ferree e la sua ossessione per la perfezione, è il luogo dove Ôbayashi colloca il suo piccolo apocalisse quotidiano.
Ogni inquadratura vibra di una tensione irrazionale, come se il tempo stesso si piegasse ai sentimenti dei personaggi. C’è un gusto per l’assurdo che sfiora la comicità, ma che non smette mai di essere tragico. Le battaglie telepatiche, gli sguardi carichi di potere, gli effetti speciali artigianali diventano metafore visive dell’adolescenza: quella fase in cui tutto sembra possibile e allo stesso tempo minacciato.
School in the Crosshairs è anche una storia d’amore, ma filtrata attraverso il linguaggio dell’alienazione: Koji e Yuka si amano come due esseri che sanno di essere già condannati, due anime che resistono al collasso della realtà con la sola forza della tenerezza.
Ciò che rende questo film un unicum è la sua capacità di oscillare tra generi — fantascienza, dramma, commedia, spiritualità — senza mai ancorarsi a nessuno. Ôbayashi costruisce un mondo in cui la logica del sogno diventa l’unica via di fuga dal controllo sociale.
In un certo senso, è il suo manifesto: il cinema come arma, come linguaggio della libertà interiore. Ogni fotogramma urla che la fantasia è più vera del reale, che il potere della mente e dell’immaginazione è l’unico antidoto alla manipolazione collettiva.
Alla fine, School in the Crosshairs lascia nello spettatore quella sensazione ambigua che solo Ôbayashi sapeva evocare: la malinconia di chi ha visto il futuro e ne ha riconosciuto la follia. Un film che sembra uscito da un sogno febbrile di adolescenza, dove la purezza diventa l’ultimo atto di disobbedienza.
