ARTUN (SubITA)

Titolo originale: Ártún
Paese di produzione: Islanda
Anno: 2014
Durata: 20 min
Genere: Drammatico
Regia: Guðmundur Arnar Guðmundsson

Sinossi:
In un remoto villaggio islandese, tre ragazzi adolescenti decidono di intraprendere un viaggio verso Reykjavík con la speranza di trovare le prime esperienze amorose, e forse, un riflesso più adulto di sé stessi. Ma ciò che li attende non è la libertà promessa dalla città: dietro le luci e le aspettative, Ártún nasconde un mondo dove la giovinezza si scontra con la disillusione.

Recensione:
Ártún è uno di quei cortometraggi che, pur nella sua brevità, riesce a condensare un’intera geografia emotiva. Guðmundur Arnar Guðmundsson — che poi riprenderà queste atmosfere nel suo celebre Heartstone — mostra un’Islanda che non è la cartolina turistica fatta di ghiacci e silenzi puri, ma una terra di passaggi interiori, dove ogni adolescente deve attraversare il proprio piccolo inferno per scoprire cosa significa crescere.

Il film è costruito come una parabola di iniziazione, ma senza le scorciatoie moralistiche del coming-of-age classico. La macchina da presa si muove con discrezione, quasi timida, come se temesse di interrompere l’incanto fragile dell’età in cui la curiosità è ancora più forte della paura. Gli amici ridono, si provocano, condividono una complicità infantile che però si sgretola lentamente, nel contatto improvviso con l’ambiguità del mondo adulto.

C’è qualcosa di sospeso, di dolorosamente poetico, nella maniera in cui Guðmundsson osserva i suoi personaggi: li filma da lontano, incorniciati tra le rocce, i fumi delle stufe, le distese brumose che sembrano custodire segreti. Il gelo diventa metafora del non-detto, dell’imbarazzo, della tensione sessuale che serpeggia e si spegne senza mai esplodere del tutto.

Guarda anche  SAMI BLOOD (SubITA)

La città, Reykjavík, non è un approdo, ma un abisso. Lì i ragazzi scoprono che il desiderio non è mai gratuito, che la libertà promessa può diventare una gabbia di sguardi e di illusioni. È un racconto sulla perdita dell’innocenza, ma non nel senso hollywoodiano del termine: qui la perdita è più sottile, quasi invisibile. È uno sguardo che cambia, una luce che si spegne dentro.

Guðmundsson sa che la vera tragedia dell’adolescenza non è l’errore, ma la consapevolezza di averlo commesso troppo presto. Così, quando i protagonisti tornano indietro — non solo geograficamente ma anche spiritualmente — non sono più gli stessi. Hanno intravisto il lato oscuro del desiderio, quella linea sottile tra curiosità e violenza, tra attrazione e vergogna.

Nel silenzio che chiude il film c’è tutta la poetica del regista: una compassione trattenuta, un dolore che non si urla ma che vibra. Il suo cinema è fatto di respiri, di micro-sguardi, di attese che non si risolvono. E Ártún ne è la prova perfetta — un piccolo racconto islandese che diventa, senza pretese, un poema sull’identità, sulla vulnerabilità e sull’inquietudine dell’essere giovani in un mondo che non perdona l’ingenuità.

Non c’è redenzione, ma solo la presa di coscienza che il passaggio all’età adulta è un rito senza maestri, un viaggio che si compie nel buio, con le mani tese in avanti come per toccare qualcosa che non si lascia mai afferrare.

 

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Related Posts