Titolo originale: Bakeneko Anzu-chan
Paese di produzione: Giappone, Francia
Anno: 2024
Durata: 97 min
Genere: Animazione, Fantastico, Drammatico
Regia: Yôko Kuno, Nobuhiro Yamashita
Karin è una ragazza di undici anni che viene abbandonata dal padre a case del nonno, un monaco di una piccola cittadina della campagna giapponese. Il nonno chiede ad Anzu, un gatto fantasma tanto gioviale quanto capriccioso, di prendersi cura della nipote. All’inizio fra i due nascono scintille a causa dei loro forti caratteri, ma poi…
Presentato alla Quinzaine des Cinéastes di Cannes 2024, Ghost Cat Anzu di Nobuhiro Yamashita e Yōko Kuno è il fertile risultato di singolari collaborazioni, a partire dallo studio nipponico Shin-Ei Animation e quello francese Miyu Productions. Divertente, libero nelle linee e nelle direttrici narrative, questo anime nippo-transalpino è una sorta di Una lettera per Momo sotto acido, un po’ indie e un po’ mainstream.
Supertelegattone
Dopo la morte della moglie, uno scapestrato padre giapponese affida la figlia Karin, di undici anni, al nonno, un monaco che vive in un tempio rurale insieme ad Anzu, un gigantesco gatto fantasma di trentasette anni, tanto ingegnoso quanto sarcastico. Altri spiriti vengono a popolare il pantheon locale: una rana che occupa un campo da golf del luogo, un fungo con la barba, un dio della sventura… [sinossi]
Moshimo boku ga itsuka kimi to deai hanashi-au nara
Sonna toki wa douka ai no imi wo shitte kudasai…
– Linda Linda, The Blue Hearts.
Si può guardare al bicchiere (mezzo) pieno, ovvero la massiccia presenza dell’animazione sulla Croisette, o al bicchiere mezzo vuoto: la collocazione e quindi la visibilità dell’animazione a Cannes e i perché della sua insolita presenza. Prendiamo ad esempio il pur lodevole lungometraggio nipponico Ghost Cat Anzu, selezionato dalla Quinzaine des Cinéastes. Ecco, non è esattamente giapponese. È una coproduzione tra Giappone e Francia. Come, sempre per fare un altro esempio, l’ottimo Flow di Gints Zilbalodis, di produzione franco-lettone. Certo, la vitalità, organizzazione e potenza economica dell’industria transalpina non è certo una colpa, a far sorridere è semmai l’ipocrisia del Festival di Cannes, da sempre ben poco attento al panorama animato.
Passiamo oltre, restando in terra francese. Se la Shin-Ei Animation, fondata nel 1976 dopo la chiusura della A Production, è uno studio di lungo corso, la Miyu Productions è ancora giovane ma già radicata, strutturata e può vantare, oltre a una serie di titoli pregevoli, una filosofia artistica e produttiva ammirevole: Linda veut du poulet! di Chiara Malta e Sébastien Laudenbach, Saules Aveugles, Femme Endormie di Pierre Földes e Pléthore de nords di Kōji Yamamura tra quelli già prodotti, mentre in produzione o fase di sviluppo segnaliamo quantomeno La Longue Nuit di Cyril Pedrosa e La Mort n’existe pas di Félix Dufour-Laperrière. Insomma, una progettualità che non conosce confini geografici e che guarda a un’animazione autoriale, personale, slegata dalla perfezione a tutti i costi. Non a caso, sul piano squisitamente estetico, ritroviamo in Ghost Cat Anzu delle suggestioni grafiche che rimandano alle linee essenziali di Laudenbach e di Földes, a quelle soluzioni cromatiche. E ritroviamo anche una rana gigante.
Sul fronte Shin-Ei Animation vale la pena segnalare il titolo chiave della loro filmografia: la fluviale serie Doraemon, ereditata nel 1979 dallo studio Nippon TV Video. Il filo rosso è il gattone fantasma che anima la pellicola di Nobuhiro Yamashita (sì, il regista di Linda Linda Linda e molto altro) e Yōko Kuno, una sorta di Totoro indolente, furbetto e spesso volgare. Ma dal cuore grande. Il paffuto e pacioso protagonista è l’elemento trainante delle storia ma è soprattutto il classico personaggio tondeggiante e super-size-kawaii che dovrebbe garantire al film un buon riscontro al botteghino nazionale e internazionale.
Insomma, Ghost Cat Anzu prende le distanze dallo standard grafico dell’industria degli anime, coprendo i limiti produttivi con idee, ritmo, linee libere di essere incerte ma funzionali, ma tiene un piede all’interno dei desiderata del pubblico. Divertente, commovente, sbalestrato con garbo, gattofilo in abbondanza. Un po’ il Una lettera per Momo del nuovo decennio, non solo per il bizzarro team formato dall’undicenne Karin e dagli spiriti pasticcioni, ma soprattutto per il suo essere una fantasiosa e caleidoscopica elaborazione di un lutto. Con un finale semplice, leggiadro, ma da fare vedere nelle scuole di cinema. Uno stacco perfetto.
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