THE WANDERER (SubITA)

Titolo originale: Ha’Meshotet
Paese di produzione: Israele
Anno: 2010
Durata: 86 min.
Genere: Drammatico, Spirituale
Regia: Avishai Sivan

Di spalle, un uomo, si scoprirà un giovane, studente di yeshiva e figlio unico di una famiglia divenuta ortodossa dopo fatti del passato appena accennati in sotto-dialoghi, attraversa un ponte pedonale che collega due lati della zona in cui vive. All’inizio, durante e alla fine del film, in momenti diversi delle giornate.Silenziosamente. Come nel silenzio, e in un minimalismo ricercato che in quei silenzi si specchia, e viceversa, s’inscrive Ha’Meshotet (The Wanderer), primo lungometraggio di finzione del trentatreenne israeliano Avishai Sivan

Quando si la parola “errare” non si può non ricorrere alla sua duplicità semantica, per questo il soprannome che Isaac si dà calza in modo perfetto, e so benissimo che probabilmente in ebraico il lemma non ha una doppia accezione come per l’italiano, tuttavia: faccio finta di niente e sottolineo di quanto il protagonista ami vagabondare per delle strade che lo turbano (l’inizio, geometrico e siderale, lo vede in una metaforica e claustrofobica via dritta e soffocante, mentre successivamente, ad una fermata del bus, verrà quasi umiliato dalla che lo circonda) e contemporaneamente avverte la necessità di sbagliare, di compiere azioni che lo liberino in qualche modo dalla mano (quella paterna, a sua volta pressata da quella religiosa) che lo opprime, il risultato, inevitabile, è che il ragazzo sta male, ed è un malessere che Avishai Sivan, qui all’esordio, veicola per mezzo di un cinema che medita sull’immagine, che occupa tempistiche diluite nei silenzi, sia casalinghi che urbani, e che quindi ci racconta di un dolore, fisico, personale, forse ancestrale visto il nome biblico e visto, più nello specifico, il misterioso passato del padre. Sivan girando Ha’Meshotet (2010) in un ambiente ultraortodosso fa sì che il suo film diventi ineluttabilmente uno spazio di riflessione in cui i cardinali di una religione, di una cultura, di un modo di vivere ritualista e tradizionalista impattano con la singolarità dell’ umano e la sua emancipazione (all’imposizione coniugale Isaac risponde con un coito racimolato per strada), e tale scontro, lo si sappia, è un piacere da vedere/capire.

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Enucleate le qualità di The Wanderer è difficile non ripensare a Tikkun e osservare nel film del 2015 una rielaborazione dell’opera prima, le similitudini sono numerose, sia nell’impianto generale (stile e temi) che in quello particolare (identico focus su un ragazzo disorientato dalla vita) e perfino nei dettagli (ci sono scene gemelle come l’autostop o la nottata sulla spiaggia), ora, l’accostamento potrebbe sminuire più Tikkun che The Wanderer per evidenti deduzioni logiche, ma, e lasciatemi scadere nel banale, Sivan è proprio bravo ed anche al netto di una ripetizione estetico-contenutistica assistere a due pellicole pressoché sovrapponibili non risulta affatto perso poiché vi è dell’alta autorialità all’interno. Tornando ancora un attimo ad Ha’Meshotet risuona con maggiore intensità rispetto al titolo successivo tutta una vibrazione legata alla sessualità che monta delle sensazioni a cui va prestata una certa attenzione, la stessa che la realtà talmudica chiede alle nostre concezioni occidentali, difatti, lasciando da parte i possibili giudizi come sempre miniaturizzanti, film del genere forniscono la preziosa opportunità di avvicinarsi a mondi estranei di cui saremo sempre turisti, ma che bello starsene sul di casa propria ed entrare in una yeshivah.

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Nota a margine: sul sito di Avishai Sivan, alla Rejection Letters, c’è una sezione in cui il ha pubblicato gli screen di alcune corrispondenze avute con vari festival cinematografici in cui con forzata i vari interlocutori gli rispediscono indietro le opere da lui proposte per quella specifica manifestazione. È una cosa parecchio divertente ed anche un pochino sconsolante.

http://pensieriframmentati.blogspot.com/

By Anam

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