Titolo originale: Queen of Earth
Nazionalità: USA
Anno: 2015
Genere: Thriller, Psicologico
Durata: 90 min.
Regia: Alex Ross Perry
Inabissamento nella follia di una donna. I raporti complicati con gli uomini, un’amicizia con Virginia che lei, Catherine, progressivamente divora e distrugge. Uno dei pochi veri grandi film di questa Berlinale (a oggi), ispirato ai classici anni ’60 di Polanski e Bergman. Il trentenne indie americano Alex Ross Perry è un piccolo maestro ormai, ma forse nemmeno lui lo sa.
Il trentenne Alex Ross Perry è un vero regista indie, non di quegli indie a metà pronti a realizzare film furbetti da mandare al Sundance e poi da far correre agli Oscar (ogni riferimento al buono ma troppo scaltro Whiplash non è casuale). Lui è un autore rigoroso, che non giochicchia con le mode e le maniere e i manierismi indipendenti, che persegue una sua idea forte e personale di cinema, che si evolve da un film all’altro e si fa sempre più sofisticato e complesso, e sempre più europeizzante. Il suo The Color Wheel, che avevo visto nel 2011 a Locarno, mi aveva sbalordito per la perfezione dei dialoghi e la crudeltà con cui metteva a nudo, letteralmente, tutto il rimosso tra un fratello e una sorella. Listen- up Philip, che a Locarno l’anno scorso un premio è riuscito a portarselo via, era un passo in avanti, tra un Woody Allen devastato e il Todd Solondz più desolato, con beffardi e colti riferimenti al mito Philip Roth. Sì, è andato benino anche negli Usa nel circuito specialty, però non ha raccolto tutti quei riconoscimenti che avrebbe meritato. Adesso, ecco Alex Ross Perry qui a Berlino con Queen of Earth, presentato a Forum in prima mondiale, e ci si chiede come mai non l’abbia portato invece all’appena concluso Sundance. Che si trovi meglio e più compreso in terra europea? Lo si vede abbastanza in giro oltretutto, l’altra sera era a presentare con i suoi collaboratori la proiezione per il pubblico al CineStar, ieri sera l’ho ritrovato all’U-Bahn in AlexanderPlatz ad aspettare invano un treno della linea 2. L’aspettavo pure io, ma di treni non ne son più arrivati, ed erano le 0.45, alla faccia di chi dice che Berlino è mica come l’Italia, qui funziona tutto benissimo, il metrò non si ferma mai neanche di notte ecc. Balle. Scusate l’inciso, ma vederlo lì infreddolito, abbandonato come tutti noi sulla platform della Linea Rossa senza uno straccio di informazione sui display se non nell’ostico tedesco, me lo ha confermato nella sua assoluta atipicità rispetto al cliché dell’Autore.
In Queen of Earth avanza, esplora intemeratamente, abbandona la commedia witty e velenosissima e si butta, l’audace, in una psycho-thriller tutto al femminile, un thriller della mente e dell’anima se volete. Girato in 16 millimetri, e già questo, con uno stile iperconsapevole che si rifà a certi classici del cinema anni Sessanta, altro che macchina a mano ballonzolante e alla deriva che vediamo nel 90 per cento del cinema ggiovvane da festival. Inattuale, ecco, e forse per questo non piace poi tanto, Alex Ross Perry, ai giovani critici. L’altro motivo è che è un tipo antipaticuzzo, puntuto, nel conversare con pubblico e critici, e spesso sgradevoli, perfino odiosi, sono i suoi personaggi. Come l’aspirante scrittore di Listen-Up Philip. Non fa niente per piacere nemmeno la Catherine di Queen of Earth (un’Elisabeth Moss formidabile). La prima scena è camera fissa sul suo primo piano, viso disfatto ridotto a un mascherone, la voce alterata che rinfaccia all’uomo che l’ha appena mollata, e che noi non vediamo, ogni possibile rinfaccio. Finirà per smaltire la botta nel cottage con vista lago dell’amica Virginia detta Ginny. Ma Cate sta male davvero, ha anche appena perso per suicidio il padre scultore per cui aveva un’ammirazione sconfinata e al quale la legava una devozione incrollabilmente edipica. L’amicizia con Ginny viene messa a dura prova, Cate ha acido e veleno in corpo per tutti, anche per chi le vuole bene, e quando in casa arriva il nuovo boyfriend dell’amica le cose precipitano. Cate si inabissa in una voragine psicologica che chiamare depressione è poco. Siamo dalle parti della sofferenza mentale dura e tosta, forse della psicosi. Della follia.
Alex Ross Perry alterna furiosi dialoghi a lunghe sequenze mute in cui gioca con le facce, i corpi, gli ambienti, secondo le lezione del classico cinema dell’introspezione, dell’indagine dell’anima, della minaccia, del disagio. Dopo la proiezione ha citato esplitamente come riferimenti il Polanski di Repulsion e Cul-de-sac cui si possono aggiungere Persona di Ingmar Bergman e il dimenticato e meraviglioso Images di Robert Altman. Stupisce la maestria con cui ARP, coadiuvato da una Elisabeth Moss che si butta nell’impresa giocandosi tutto, conduce questo corpo a corpo femminile, stupisce che subisca il fascino di un grande cinema del passato però ormai desueto, e che nessun giovanotto indie si sogna più di citare, né tantomeno di guardare. L’unico film recente che, pur su altri versanti, può almeno avvicinarsi a Queen of Earth è The Duke of Burgundy di Peter Strickland, pure quello non così amato nel circuito internazionale dei critici. Ma teniamocelo stretto, Alex Ross Perry, lui il dono del cinema ce l’ha.
Recensione: nuovocinemalocatelli.com