HIRUKO THE GOBLIN [SubITA]

Titolo originale: Yôkai hantâ: Hiruko
Nazionalità: Giappone
Anno: 1991
Genere: Commedia, Fantastico, Horror
Durata: 89 min.
Regia: Shinya Tsukamoto

Il professor Yabe è finalmente riuscito a scoprire la tomba del leggendario demone Hiruko. Ma lo spirito maligno, risvegliatosi, fugge dal sepolcro e uccide sia l’uomo che la giovane Tsukishima, impossessandosi del corpo di quest’ultima. Inizia così una strenua lotta contro Hiruko da parte dell’archeologo Hieda Reijiro e di Masao, figlio di Yabe, sulla cui schiena di volta in volta, tra indicibili sofferenze, affiorano i volti scolpiti delle vittime del demone.

Che sia giunta finalmente l’ora della riabilitazione cinefila per la lotta del professor Hieda e del giovane Masao contro il demone Hiruko? Fra tutte le creature cinematografiche partorite dal fervido genio di Shinya Tsukamoto, Hiruko the Goblin (la traslitterazione dagli ideogrammi del titolo originale giapponese suona come Yōkai hantā – Hiruko) occupa una posizione del tutto anomala. Si tratta, in effetti, dell’unico film su commissione fino a oggi portato a termine dal cineasta nipponico, e anche del solo progetto sul quale non abbia avuto la possibilità di avere una mano completamente libera. Allo stesso è un’opera che dimostra proprio per la sua statura anomala la totale concezione libertaria del cinema da parte di Tsukamoto: chi, dopo essere diventato un eroe dell’underground con un solo lungometraggio, destinato però a modificare il concetto stesso d’opera d’arte, si lancerebbe in un folle pastiche a metà strada tra la commedia e l’horror? Probabilmente nessuno, quasi sicuramente nessuno in occidente.
Ma forse conviene procedere per gradi: sul finire degli anni Ottanta, a ridosso dell’uscita della sua opera d’esordio Tetsuo, il nome di Shinya Tsukamoto è sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori. Non c’è un solo produttore che non abbia dato un’occhiata alle stordenti avventure dell’uomo/macchina, rimanendone com’è probabile sconvolto in modo irrimediabile. Ad accaparrarsi l’ingegno del regista trentenne è la Shōchiku, la storica “kabushiki gaisha” fondata da Takejiro Otani e Matsujiro Otani e casa dei film di Yasujirō Ozu, Kenji Mizoguchi e Keisuke Kinoshita (ma anche di Kinji Fukasaku, Seijun Suzuki e Takeshi Kitano, tra gli altri), che lo mette sotto contratto per trasportare sul grande schermo il manga di Daijiro Moroboshi Yokai hantā. Kairyū matsuri no yoru, una serie di avventure horror in cui il protagonista, un goffo ma coraggioso archeologo di nome Hieda, si trova a combattere contro mostri, spiriti e demoni ispirati alle ancestrali giapponesi. Nel mettere mano a un materiale preesistente – altra pratica, questa, che non troverà molti riscontri nelle opere future del cineasta, se si esclude l’adattamento di Gemini, tratto da un racconto di Edogawa Ranpo, e Fires on the Plain, che prende dal romanzo di Shōhei Ōoka – Tsukamoto non si lascia sopraffare e cerca di lavorare in modo tale da coniugare il proprio gusto estetico alle esigenze di un copione che, sotto sotto, appare poco più di uno scherzo.

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Quel che ne deriva è un’opera sicuramente meno personale rispetto a quelle a cui il pubblico di Tsukamoto è abituato, ma non per questo necessariamente priva di qualsivoglia scintilla creativa: nel prendere di petto il genere duro e puro, il regista di Bullet Ballet ne accetta tutti i detriti popolari, ma nel metterli in scena dona loro una luce del tutto particolare. Strano sposalizio tra la commedia demenziale e l’horror truculento e demoniaco, Hiruko the Goblin potrebbe essere facilmente scambiato per una versione, in salsa teriyaki, dei ghostbuster che solo pochi anni avevano monopolizzato il box office hollywoodiano: per quanto non è da escludere la volontà, da parte della casa di produzione, di cavalcare l’onda, l’impressione è che l’ di Tsukamoto si sia spostato in realtà ad altre latitudini. Se infatti la messa in scena dell’aspetto strettamente demoniaco della vicenda guarda con insistenza dalle parti de La casa di Sam Raimi, in particolar modo per l’utilizzo di soggettive esasperate ed estremamente “liquide” nei movimenti, da un punto di vista mitologico Hiruko the Goblin è un film giapponese in tutto e per tutto. in cui ancora è possibile rintracciare i residui di una cultura arcaica profondamente legata all’elemento misterico, patria dello shintoismo, il ospita all’interno delle sue leggende popolari alcuni dei mostri più terrificanti e assetati di di cui si abbia notizia.

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Ecco dunque che la mitologia legata al Kojiki (conosciuto anche come Furukotofumi, è la più antica cronaca esistente in Giappone e il primo testo di narrativa giapponese giunto fino ai giorni attuali) si fa strada pur tra mille goliardate e rivendica il suo ruolo primigenio nella costituzione di un immaginario autoctono, millenario, orrorifico e ricco di sfumature. Non rinunciando a uno stile aggressivo, dinamico e ricco di intuizioni visive ai limiti del delirante, Tsukamoto si lancia dunque in un’operazione divertita e rischiosa, che riporta alla i classici dell’ del cinema giapponese a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, quando il naïf e il sublime finivano per confondersi e compenetrarsi: opere al di là del limite stesso del buon gusto come l’imperdibile House (Hausu, 1977) di Nobuhiko Obayashi, sono senza dubbio tra i padri naturali di Hiruko the Goblin. Costretto in un ruolo produttivo a lui non particolarmente congeniale, Shinya Tsukamoto non può permettersi la libertà creativa e il controllo totale dell’opera che costituiranno due dei tasselli essenziali della sua poetica: qui, oltre al lavoro di adattamento e di messa in scena, si concede solo lo sfizio di co-firmare il montaggio insieme a Yoshitami Kuroiwa, uomo di della major. Probabilmente lontano dal cinema che il pubblico di fan si aspetterebbe da Tsukamoto, Hiruko the Goblin è un’intelligente e divertita variazione sul tema della possessione, favola nera giocata abilmente su canoni espressivi esasperati e mai banali. E, se si è capaci di non fermarsi alla superficie liscia delle cose, è possibile scorgere l’ispirata mano del regista farsi largo in non poche occasioni.

Recensione: quinlan.it

By Anam

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