HAPPER’S COMET

Titolo originale: Happer’s Comet
Paese di produzione: USA
Anno: 2022
Durata: 62 min.
Genere: Drammatico, Sperimentale
Regia: Tyler Taormina

Un film sperimentale sulla comunità di Long Island. La gente del posto viene filmata in momenti tranquilli delle loro giornate nelle loro case, tra la città o tra i campi di grano.

Girato interamente nella città suburbana di Long Island dello sceneggiatore e regista Tyler Taormina durante le ore inquietanti tra la mezzanotte e l’alba, Happer’s Comet esplora una serie di spazi vuoti e figure insonni. L’illuminazione proviene da una delle due fonti ambientali – l’elettricità o la luna – eppure definire il film un noir sarebbe fuorviante. Piuttosto che minacciosa o opprimente, la sua sensazione di oscurità è quasi rasserenante.

La del film è attratta da tutto ciò che luccica e scintilla: i granelli di polvere che galleggiano in una piscina, il lampeggiare dei dispositivi elettronici, la di gocce d’acqua su un parabrezza. La unica di Taormina rende il film, più di ogni altra cosa, una sorta di poema tonale cinematografico, esprimendo una riconciliazione con l’insonnia mentre il tempo si dilata in strane infinità.

Happer’s Comet non ha una trama o personaggi reali. Come puro montaggio, il film deriva la sua coerenza dall’ora del giorno e, in misura minore – perché i sobborghi tendono a somigliarsi al punto da intercambiabili – dal luogo in cui le immagini sono girate. In totale assenza di dialoghi, il design sonoro del film assume quasi il ruolo di protagonista. Il design suggerisce il naturalismo di una registrazione sul campo, sebbene particolarmente strana, amplificando quei rumori che sentiamo così spesso da addormentarci: rane che gracidano e grilli che cantano, sistemi di irrigazione che sbattono e scarichi che gorgogliano, il sibilo delle auto e il doppler dei treni, il chiacchiericcio di radio e televisori distanti. La non diegetica influisce sull’umore di una scena solo con parsimonia.

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In alcune sequenze sparse nel film, c’è il vago sentore di una storia. In una, un terrier si aggira per un soggiorno ombroso e le scale, il delle sue unghie sul parquet che si fonde con quello delle mitragliatrici in un film di guerra che sta passando altrove in casa. Non vediamo mai lo schermo stesso, ma la sua luce brilla e sfarfalla contro le pareti. La figura indistinta di una donna scivola verso la porta di casa sua ed esce nella notte. Si scopre che è sui pattini a rotelle. E su un telefono con la foto del terrier come sfondo, arriva una notifica che mostra il messaggio minaccioso: “C’è movimento alla tua porta d’ingresso.”

In un’altra sequenza notevole, un uomo anziano (Brenden Burt) che lavora fino a tardi in un’autofficina contempla la strada vuota fuori mentre ascolta una canzone alla radio su decadenza e peccato. Dopo un po’, come se fosse mosso dalla canzone, inizia a fare flessioni. Come la maggior parte dei personaggi di Happer’s Comet, è la prima e ultima volta che appare.

Se c’è un filo conduttore nel film di Taormina, è il numero inquietante di persone che sembrano pattinare attraverso la penombra di questa città. C’è una certa tensione nell’azione stessa. Oltre alla fusione di esaltazione e pericolo, c’è il mistero della situazione. È isteria di massa o un fenomeno ancora più strano, in qualche modo collegato al titolo altrimenti imperscrutabile del film? È possibile immaginare che Taormina abbia scelto i pattini a rotelle solo per il suono delle loro ruote, simile a quello del tuono distante, che si muovono su cemento o asfalto.

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Mentre film come Halloween di John Carpenter e Blue Velvet di David Lynch espongono la e la perversione che sottostanno all’artificiosità curata di tanti ambienti suburbani, Taormina, mediante un semplice spostamento temporale, allude soprattutto alla loro arbitrarietà. La tesi di Happer’s Comet, nella misura in cui ne ha una, non è che tali spazi siano necessariamente inquietanti o addirittura inquietanti. Piuttosto, è che non sono così isolati o autosufficienti come sembrano, né destinati a durare per sempre. Sono un semplice blip nella temporalità in cui il film di 62 minuti ci immerge – un ritmo quasi primordiale esente da routine o storia.

La liminalità che Happer’s Comet evoca così prontamente ha molto senso, dato che Taormina ha girato il film con una troupe ridotta durante il lockdown. Ma questo è un film dell’era Covid nello stesso senso in cui lo sono Something in the Dirt di Justin Benson e Aaron Moorhead: entrambi girati durante il lockdown, entrambi soggetti a limitate, entrambi evitando qualsiasi commento diretto sulla situazione. Con una reattività intraprendente disponibile solo ai registi indipendenti, trasformano le limitazioni che affosserebbero qualsiasi produzione di studio in un vincolo formale generativo, mostrando nuovi aspetti di un mondo che pensavamo di conoscere già.

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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