HADEWIJCH [SubITA]

Titolo originale: Hadewijch
Paese di produzione: Francia
Anno: 2009
Durata: 105 min.
Genere: Drammatico
Regia: Bruno Dumont

Scioccata dalla foga mistica, eccessiva e  cieca della novizia Hadewijch, la madre superiore decide di escluderla dal convento e di metterla alla porta e Hadewijch ritorna ad essere Céline, giovane parigina figlia di un diplomatico. Ma la sua passione per Dio, la sua rabbia e il suo incontro con Yassine e Nassir la portano, tra grazia  e follia,  ad intraprendere un percorso estremamente rischioso.

A forza di fare cinema mi sento senza dubbio, naturalmente, portato poco a poco verso una visione più mistica del mondo. La mistica è come una sorta di gradazione supplementare, nascosta, misteriosa. C’’è una prossimità tra il cinema e la mistica, sul loro rapporto col reale e con le apparenze, e sulla potenza delle che possono generare.

Girato tra il Nord della Francia, e il Medio Oriente, Hadewijch è il quinto lungometraggio di Bruno Dumont, ex professore liceale di e, a partire dal 1997, autore di pellicole ricompensate più volte dal Festival di Cannes: Menzione Speciale Caméra d’or a La vie de Jésus, Grand Prix della giuria nel 1999 a L’’humanité e nel 2006 a Flandres. Presentato a settembre al Toronto International Film Festival (dove si è aggiudicato il premio FIPRESCI) e uscito nelle sale francesi il 25 novembre, l’’ultimo lavoro di Dumont non è un film sulla fede o sul mistero della religione ma, molto più semplicemente e radicalmente, un film sul sentimento amoroso. è solo un veicolo per parlare dell’’amore: “Uno dei luoghi in cui l’’amore fiammeggia di più, un luogo di rappresentazione dell’’amore a un livello di incandescenza spaventosamente forte”. E al tempo stesso è il suo film più rigorosamente introspettivo e trascendente: le due dimensioni non si escludono a vicenda, ma si compenetrano dinamicamente tramite una tensione tra la mostrata (il convento, la casa parigina sull’Île Saint-Louis, la banlieue, Beirut) e la traiettoria astraente della messa in scena. Diversamente dalle pellicole precedenti, in cui la frammentazione del montaggio impediva agli di monopolizzare la rappresentazione, le inquadrature ravvicinate di Hadewijch durano il più a lungo possibile, indugiando sul volto della protagonista (la non professionista Julie Sokolowski) e lasciandole la libertà di esprimersi in tutta la sua incerta, esitante spontaneità. Contrariamente all’’illuminazione naturalistica praticata fino a oggi, Dumont e il direttore della Yves Cape stavolta imprimono alla luce accenti al limite dell’’espressionismo, inondando il volto di Céline/Hadewijch di chiarori ardenti e perentorie folgorazioni (riferimento luministico principale: Narciso nero di Powell e Pressburger).
Cinema austero ma non punitivo.

Guarda anche  ARCHON DEFENDER (SubENG)

Spero di utilizzare mezzi sufficienti a darmi un cinema che entri davvero all’’interno dei personaggi, là dove le cominciano. Ciò che mi interessa è esplorare la profondità degli esseri e ciò che li motiva ad agire. Il problema è come l’’amore possa essere capace di scatenare un’’immensa violenza.

Per ottenere questa sintesi di interiorità e trascendenza, Dumont abbraccia la pratica dell’’ascesi stilistica. Spoglia ulteriormente il suo cinema, prosciuga accanitamente la scrittura, castiga inesorabilmente l’’estetica. La rinuncia alla dell’’immagine – che non mancherà di istigare i suoi detrattori – è rinuncia all’’appagamento estetizzante, alla vernice coprente (tanto nella celebrazione dello sfarzo quanto nell’’esaltazione dello squallore: al centro di Parigi è impedita la magnificenza, alla cité del dipartimento Seine Saint-Denis è negata la decadenza). La sottrazione narrativa è scrematura di ogni cascame letterario: un gradino sopra ci sono le convenzioni del romanzesco, un gradino sotto le secche dell’’involuzione. Hadewijch si situa esattamente tra l’’aneddotico e l’’ermetico, il ridondante e il criptico: un equilibrio di intoccabile classicità. La contrazione del formato cinematografico e della pista audio (dal Cinemascope all’’1.66 e dal suono stereo al mono) proclama infine l’’intransigente antispettacolarità del progetto e traccia i confini audiovisivi della sua interrogazione, al tempo stesso intima e mistica. L’’elementarità del quadro concentra l’’attenzione sulla singhiozzante ricerca di Céline, che soffre fisicamente per l’’ del Cristo; la stretta cornice dell’’inquadratura diventa il chiostro in cui l’’involucro carnale di Hadewijch trapassa il reale per trasfigurare in trascendenza: ““La mistica è esattamente questo. È passare attraverso le apparenze per accedere a un’’altra dimensione””.
Cinema umile ma non umiliante.

Guarda anche  SOUND OF MY VOICE [SubITA]

È un paesaggio interiore che filmo. Penso che dovreste vedere Hadewijch non come un personaggio, ma come un sentimento. È puro sentimento, è l’’incarnazione del nostro bisogno di amare ed essere amati. Di fatto, è un’’astrazione.

Alessandro Baratti | spietati.it

 

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

Related Posts