Titolo Originale: Amer
Nazionalità: Belgio, Francia
Anno: 2009
Genere: Psicologico, Thriller, Visionario
Durata: 90 min.
Regia: Hélène Cattet, Bruno Forzani
Una ragazzina spaventata si trova all’interno di una villa silenziosa. Una adolescente è attratta da presenze misteriose che si aggirano per il suo piccolo paese. Una donna torna in un luogo della sua infanzia per sfidare i fantasmi del suo passato. Protagonista di tre momenti chiave della sua tormentata vita è Ana, in un viaggio tra realtà e fantasia che alterna piaceri sensuali e dolori.
Forse non serve farmi tanti scrupoli o perdermi in troppi preamboli, forse meglio dirlo subito e direttamente: Amer è il thriller psicologico (a cavallo tra l’horror e il giallo) visivamente e psicologicamente più interessante di questi ultimi 10 anni. Affascinante, onirico, sensuale, insidioso, visivamente impressionante. Insomma, un capolavoro? Forse sì, se si accetta (o si sopporta) l’assoluta, e probabilmente eccessiva, autorialità del tutto, l’estremo sperimentalismo, l’essere sbalzati per un’ora e mezza nell’incubo visionario dei due registi che se ne fregano di aiutarci nella comprensione, che se ne fregano di darci qualche appiglio. Quello che riusciamo senz’altro a capire di Amer è che il film è ambientato in tre diverse temporalità, l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta di una stessa persona. E in tutti e 3 i casi vediamo una sola giornata della stessa se non addirittura, come nell’inserto centrale, quello dell’adolescenza, soltanto pochi minuti. Tre giorni che catturano tre momenti diversi di vita. La bambina oppressa e impaurita da strane presenze nella vecchia villa in cui abita. L’adolescente che prima passeggia con la madre e poi, inseguendo un pallone, si ritrova sola vicino a una banda di motociclisti.
La donna che decide di tornare nella vecchia villa in cui viveva da bambina per accorgersi poi di non esser sola. In questo scheletro narrativo tutto il resto è quasi inafferrabile. Ma ci sono senz’altro tematiche comuni, fil rouge astratti che legano le tre vicende. Uno, il più evidente, è quello della sensualità che aleggia in maniera dirompente per tutta la pellicola. Il corpo, le sensazioni che esso regala, l’immaginazione erotica, i brividi dei sensi, sono elementi comuni presenti praticamente in ogni sequenza. Del resto se è vero che questo è sicuramente un film sul sesso, sulla paura e sulla morte (Eros e Thanatos come poche volte ho visto prima) è però soprattutto, secondo me,un film sull’esaltazione e sull'”ultrapercezione” dei propri sensi. La protagonista, prima bambina poi sempre più grande, è una donna ipersensibile, che sente una formica scorrerle sulla pelle come fosse un serpente, che fissa il suo sguardo sempre nei dettagli, gli occhi, la pelle, addirittura i pori delle persone, che sente, e noi con lei, i rumori amplificati, i respiri, tutto. E la regia, sia visivamente che acusticamente, va di pari passo con questa ipersensibilità, talmente amplificata che la realtà perde del tutto i suoi connotati. La luce diventa sovraesposta, il vento quasi tempesta, gli stessi vestiti, il tessuto, sembrano avere vita propria, tutto è amplificato. E per rendere queste incredibili sensazioni il film gioca con sequenze psichedeliche, pellicole colorate, irrealtà, surrealtà, liquidi amniotici o di desiderio che diventano acqua in una vasca, sogni e immaginazione. Tutto con un taglio anni 70, nelle inquadrature, nei movimenti di macchina (zoom avanti e indietro), nelle sfocature, nella colonna sonora, nell’uso dei dettagli stretti, nella costruzione delle scene, specie nell’ultimo quarto d’ora, omaggio talmente smaccato che credo esplicito ad Argento (e i guanti neri, e le armi da taglio, e le lame vicino agli occhi). Se vogliamo dare delle definizioni potremmo considerare horror la parte dell’infanzia, con un uso fantastico, veramente fantastico, dei rumori e degli ambienti, talmente ben fatto che quando ci sono dialoghi in francese, e ci saranno per tutto il film, nemmeno ce ne frega nulla, tutto è accessorio all’atmosfera, alle immagini e ai rumori. La seconda parte, brevissima, presenta una scena che ha del miracoloso, una camminata di lei, bellissima ragazza tra l’altro, che si avvicina ai motociclisti. C’è la sensazione del sesso che trasuda, letteralmente, vediamo i pori muoversi, il sudore colare, gli sguardi incrociarsi, le bocche, la ghiaia sotto i piedi, una mano che sposta una ciocca di capelli, il vestito alzarsi e mostrare le gambe. Davvero magistrale, senza un particolare volgare, senza un movimento di macchina di troppo, pure sensazioni, per riallacciarmi a quello che avevo detto prima, ossia alla capacità, visiva e non solo, che ha Amer nel raccontare e “mostrare” tutti i nostri sensi. La terza parte, come accennato, è un giallo argentiano a tutti gli effetti, quasi impossibile da comprendere nelle dinamiche ma di grande atmosfera con una scena poi nel finale di fortissimo impatto visivo, quasi fisico. Girata, questa terza parte, in un blu fantastico tra l’altro. Io non so cosa sia Amer, probabilmente è il racconto di una donna e del suo rapporto, tutto reso in metafora, con la sessualità in tutto l’arco della sua vita. Una pulsione e allo stesso tempo repulsione nata probabilmente vedendo i suoi far sesso (proprio da quella scena ad esempio parte tutta la sequenza incubo-visionaria della prima parte). E quella mano guantata di nero forse significa qualcosa, forse è l’inibizione, la castrazione, la morte dei suoi desideri. Non so cosa sia Amer fino in fondo e forse è inutile chiederselo. Quello che so è che sarà difficile dimenticarselo. Perchè, per quanto tu possa odiarlo, questo è un film unico.
Recensione: ilbuioinsala.blogspot.it
I’m A Fucking Dreamer man !