Titolo originale: Le mangeur d’âmes
Paese di produzione: Francia, Belgio
Anno: 2024
Durata: 108 min.
Genere: Thriller, Horror
Regia: Michael Felker
Quando una morte violenta e raccapricciante inizia ad affliggere un piccolo villaggio di montagna, riemerge un’antica leggenda su una creatura malevola.
Il primo film di Alexander Bustillo e Julien Maury, del 2007, è diventato un punto di riferimento nel movimento francese chiamato New Extremity, e il suo impatto è ancora forte dopo quasi vent’anni, risuonando nelle immagini evocative di film come il recente Dune: Parte Due di Denis Villeneuve.
L’eleganza formale, l’intensità e l’originalità di Inside hanno reso Bustillo e Maury due dei registi più promettenti dell’horror contemporaneo. A quello han fatto seguito Livid (2011) e Among the Living (2014), incapaci di raggiungere le medesime vette. Tuttavia, entrambi i film hanno dimostrato che i due registi possedevano uno stile unico capace di riservare sorprese.
L’entusiasmo è rimasto alto quando Bustillo e Maury hanno lavorato al prequel di Non aprite quella porta, Leatherface nel 2017. Purtroppo, questo non è riuscito a spingere oltre i limiti dell’horror come molti speravano, definendo un tema ricorrente nella loro filmografia successiva: lavori come il candymandiano Kandisha e il subacqueo La casa in fondo al lago, entrambi del 2022, pur mantenendo l’eleganza visiva e un’atmosfera evocativa, non possiedono la stessa urgenza e il senso di pericolo delle loro opere iniziali.
Il loro stile sembra oggi più orientato verso un approccio mainstream, lontano dalle provocazioni estreme di Inside, e per questo rischia costantemente di essere assai meno innovativo.
Nel loro ultimo lavoro, The Soul Eater, presentato in anteprima al Festival di Sitges, Bustillo e Maury esplorano il genere folk horror combinato con il thriller procedurale, evocando atmosfere di film come Insomnia di Erik Skjoldbjaerg e Il senso di Smilla per la neve di Billie August, ma anche L’uomo di neve di Tomas Alfredson.
Tuttavia, la pellicola – co-prodotta dagli Amazon Studios – si trasforma improvvisamente verso la fine, con richiami a Se7en e persino a Lady Vendetta, creando una commistione di stili.
Ambientato nel remoto villaggio alpino di Roquenoir, The Soul Eater segue le indagini della detective Elizabeth Guardiano, interpretata da Virginie Ledoyen, e del gendarme Franck de Rolan (Paul Hamy). La donna si sta occupando di una serie di misteriosi omicidi-suicidi, mentre l’altro è alla ricerca di bambini scomparsi.
I due casi finiscono per intrecciarsi, costringendo Elizabeth e Franck a lavorare insieme, nonostante le loro differenze.
Un elemento centrale della trama di The Soul Eater è il piccolo Evan (Cameron Bain), sopravvissuto alla misteriosa scomparsa dei genitori. Traumatizzato, sostiene che un’entità soprannaturale chiamata “Il Divoratore di Anime” sia responsabile delle loro morti. Qui, Bustillo e Maury richiamano lo stile narrativo dell’autore horror Graham Masterton; la scena in cui Evan racconta delle oscure visioni evoca il tono inquietante delle opere dello scrittore scozzese.
Tuttavia, il modo in cui Bustillo e Maury trattano il soprannaturale in The Soul Eater risulta timido rispetto a quello che si potrebbe aspettare da due registi che un tempo hanno scioccato il pubblico con Inside.
Un esempio di questa esitazione si trova in una scena centrale di The Soul Eater. Elizabeth scopre un vecchio libro in una chiesa e legge un passo oscuro e criptico su come sconfiggere il Divoratore di Anime. Mentre recita frasi come “Invoca la clemenza del Cielo e la sua spietata giustizia, perché solo lacrime di sale terranno a bada l’appetito del divoratore di anime”, la scena sembra essere concepita per evocare mistero, ma finisce per sembrare un cliché del genere horror.
Anche l’entrata improvvisa in scena di un prete (interpretato da Stéphane Dausse) aggiunge poco alla tensione, con il suo monologo sulle leggende che resistono nel tempo che appare più artificioso che spaventoso.
La scena prosegue con una domanda esplicita del prete: “Pensi che qualcuno del posto potrebbe essere il divoratore di anime?”, un tentativo maldestro di suggerire che chiunque potrebbe essere il mostro.
Il film riacquista slancio con un lungo flashback che mostra i genitori di Evan impegnati in una scena di combattimento fisico, ma a quel punto è ormai troppo tardi per salvare la tensione accumulata. La narrazione rallenta nuovamente verso il finale, con una serie di scene dilatate che, anziché intensificare l’orrore, smorzano il climax e diluiscono la suspense.
Tuttavia, The Soul Eater presenta anche elementi positivi: la fotografia di Simon Roca, ad esempio, riesce a catturare la bellezza lugubre del villaggio alpino, mentre Virginie Ledoyen offre una performance notevole, capace di rendere convincente la figura di una detective tormentata dal proprio passato. Ma al di là di questi aspetti tecnici, il problema centrale di The Soul Eater rimane la sua mancanza di azzardo. La sensazione è che Bustillo e Maury si siano allontanati dal loro caratteristico stile estremo per avvicinarsi a un tipo di cinema horror più convenzionale e prevedibile, quasi televisivo.
Il confronto con altri registi francesi del nuovo horror francese, come Coralie Fargeat e Julia Ducournau, mette in evidenza questa transizione verso un cinema meno incisivo e meno innovativo.
The Soul Eater, pur essendo tecnicamente ben realizzato, non possiede infatti l’impatto che ci si aspetterebbe da due registi che hanno fatto della provocazione visiva e narrativa la loro firma.
Il rischio è che Bustillo e Maury si trovino ora intrappolati in una sorta di “comfort zone” artistica, incapaci di spingersi oltre i limiti e privi di quella vena di anarchia che li aveva resi tanto amati dagli appassionati di horror estremo e che ormai è sempre più flebile.
In conclusione, The Soul Eater rappresenta un tentativo di Bustillo e Maury di esplorare nuovi territori, cercando di combinare il folk horror con il thriller psicologico. Tuttavia, il risultato è un’opera senza guizzi che si mantiene in superficie, incapace di suscitare tensione o shock. La sensazione è quella di un film incompleto, come se i due registi avessero esitato a immergersi completamente nel lato oscuro e sovversivo della vicenda.
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